Cinquestelle, il giudice: "Manca democrazia interna"

Il caso dell'attivista padovana Maria Elena Martinez esclusa dalle "Parlamentarie"
Maria Elena Martinez
Maria Elena Martinez

PADOVA. In base allo statuto, «al Capo Politico del Movimento Cinque Stelle è attribuita la facoltà insindacabile di valutare la compatibilità della candidatura con i valori e le politiche» e «di escludere con proprio parere vincolante l’accettazione delle candidature» anche se questa procedura è distante dai «canoni minimi di democrazia interna» che vengono a più riprese illustrati nello statuto.

Lo ha messo nero su bianco il giudice Cecilia Pratesi del Tribunale Civile di Roma nell’ordinanza con la quale ieri ha respinto il ricorso d’urgenza di Maria Elena Martinez, attivista di Padova, non ammessa alle Parlamentarie per la scelta dei candidati alle elezioni politiche.

Il nome della militante, nonostante avesse «seguito pedissequamente l’iter per così dire burocratico seguito per l’autocandidatura», non è però «apparso nelle liste pubblicate il 16 gennaio 2018 sulla Piattaforma Rousseau».

«Secondo le previsioni statutarie - si legge nell’ordinanza - al Capo Politico (organo del Movimento) è attribuita la facoltà insindacabile di valutare la compatibilità della candidatura con i valori e le politiche del Movimento 5 stelle, e di escludere con proprio parere vincolante l’accettazione della candidatura». Il giudice ha rilevato però «la evidente distanza di tale clausola statutaria da canoni minimi di democrazia interna (distanza che si ravvisa peraltro in più di un passaggio statutario)».

Nell’ordinanza, inoltre, si ritiene fondata «la tesi che il veto del Capo Politico avrebbe dovuto essere formalmente comunicato» alla Martinez «posto che le norme statutarie in proposito non prevedono alcun iter procedimentale specifico né alcuna formalità tipica di adozione, manifestazione o motivazione del parere negativo vincolante».

Elementi importanti, ma non sufficienti ad accogliere il ricorso. «Sebbene il dibattito relativo alla democrazia interna ai partiti non sia affatto sopito - si legge ancora nell’ordinanza - e vi sia chi sostiene l’opportunità di un intervento legislativo in tal senso orientato, resta la considerazione che l’adesione ad un partito avviene su base volontaria» e il partito «mantiene la natura di associazione di diritto privato».

Per questo, «l’eventuale lesione di prerogative, aspettative individuali o veri e propri diritti soggettivi conseguenti ad una gestione dispotica o poco trasparente delle dinamiche associative, non può ritenersi ad oggi dotata di copertura costituzionale».

Il caso di Maria Elena Martinez non è certo l’unico.

Gli esclusi dalle Parlamentarie in tutto sono circa 3000 e i ricorsi intentati da aspiranti candidati sarebbero numerosi. C’è chi parla di diverse centinaia. In discussione davanti al giudice Silvia Albano del Tribunale di Roma c’è anche la causa dell’avvocato Ugo Morelli, che ha impugnato l’esito di quelle che ha definito le «buffonarie».

L’avvocato Morelli spiega che «lo statuto prevede che tutti i nominativi che arrivano tramite autocandidatura vengano inseriti in una prima lista di aspiranti candidati, dalla quale poi viene estrapolata la lista che viene essa on line e sottoposta al voto dei militanti e in base alla loro decisione viene poi composta la lista che viene depositata alla Corte d’Appello». Il suo nome, però, non compare nemmeno nel primo elenco sul quale, secondo Morelli, il capo politico del movimento non aveva alcun potere decisionale. «Sono stato escluso arbitrariamente - lamenta Morelli - : in pratica è come se la mia autocandidatura non l’avessi mai presentata, anche se ho mandato ben quattro raccomandate, seguendo alla lettera la procedura. È come se avessi voluto giocare una partita di calcio e l’allenatore non mi avesse nemmeno fatto entrare negli spogliatoi». Alla base della sua esclusione ci sarebbero alcune critiche al sindaco della Capitale Virginia Raggi. «Io ho solo esercitato i miei diritti costituzionali - si indigna - non ho fatto altro».

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