Clochard bruciato in auto, nessuna condanna

VERONA. Non può nascondere la rabbia mista a sconcerto: «È una vergogna. È stato ucciso un uomo, gli hanno dato fuoco, l’hanno bruciato vivo mentre dormiva. I colpevoli sono due ragazzini veronesi: uno non ha subìto nemmeno il processo perchè troppo piccolo (aveva 13 anni, sotto ai 14 non sei imputabile, ndr), l’altro, diciassettenne, non passerà un giorno in carcere, starà in comunità e dovrà fare il bravo per tre anni, impegnarsi nel volontariato, in qualche lavoretto e in attività sportive. Tutto qui». Addolorato, triste: «Ma vi sembra giusto? Questo è il valore della vita di mio zio: lo zero assoluto. Forse perchè è una vittima di serie B? Chi l’ha ammazzato se la caverà solo con un po’ di rieducazione e di psico-terapia. Se è questa la giustizia, io cercherò in tutto i modi di difendere chi giustizia non ha avuto urlando il mio disgusto e la mia rabbia, denunciando finchè avrò fiato i criminali che gli hanno dato fuoco senza avere poi alcun prezzo da pagare».
È arrabbiato Salah Fdil, il nipote di Ahmed Fdil, il clochard di 64 anni di Santa Maria di Zevio morto carbonizzato nell’auto in cui viveva, la notte di Santa Lucia del 2017: i due adolescenti da tempo lo tormentavano, giocavano con la sua vita «per noia» fino a ucciderlo dando fuoco alla macchina dove il marocchino viveva, benvoluto da tutti nella piccola frazione. Aveva un soprannome, il «Baffo Buono».
Anche la sera del 13 dicembre di tredici mesi fa, i due amici erano andati nella piazzola di sosta a tormentare Ahmed. Doveva essere «uno scherzo», una bravata, pare gli abbiano lanciato contro dei petardi, sarebbe stato bello vederlo saltellare, volevano che il «barbone» li facesse divertire un po’, come una scimmietta. Gli hanno lanciato nell’abitacolo dei fazzoletti di carta infuocati, sarebbe corso fuori spaventato, li avrebbe mandati via urlando, era già successo. Era un modo per rendere più vivo l’ennesimo pomeriggio monotono. Il «gioco disumano» s’è trasformato in una trappola mortale e il «Baffo Buono» è morto avvolto nelle fiamme, incastrato nell’auto che gli ha fatto prima da casa e poi da bara.
Ieri, la sentenza del gup Maria Teresa Rossi del Tribunale dei Minori di Venezia ha ordinato la messa alla prova per tre anni del diciassettenne a processo per omicidio volontario aggravato dalla minorata capacità di difesa della vittima. Ahmed Fdil quella sera stava dormendo sul sedile della sua Fiat Bravo, avvolto da una coperta. «Con il fuoco non si scherza, lo sa anche un bambino che è pericoloso lanciare fazzoletti incendiati addosso a qualcuno», commenta l’avvocato del nipote della vittima Alessandra Bocchi, «la famiglia vuole giustizia, non vendetta».
A Venezia, ieri mattina, al processo, è arrivato da Barcellona Salah con tutta la famiglia. «Volevo vedere in faccia l’assassinio di mio zio», conclude, «capire dal suo sguardo se è davvero un “bambino“ troppo piccolo per capire la cosa atroce che ha commesso o se invece è un “bambino criminale“, perchè a 17 anni non sei forse un uomo ma puoi essere una assassino. Hanno cancellato così con un colpo di spugna il reato atroce che hanno commesso Se questa è la giustizia italiana, se questa è la difesa riservata a mio zio dal Paese in cui ha lavorato onestamente per 35 anni...».
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