Covre ha perso la sua ultima battaglia Addio alla coscienza critica della Lega

TREVISO
Il male ha avuto ragione della sua energia, della sua voglia di esserci, di dire sempre e comunque la sua.
Bepi Covre – l’eretico della Lega, espulso dal partito dopo quasi 30 anni di impegno strenuo e incessante – , è spirato ieri, in un letto dell’ospedale di Oderzo. Era caduto lunedì, riportando una gravissima emorragia cerebrale: un’ambulanza lo aveva trasportato in ospedale, ma era entrato subito in coma.
Ieri, all’ora di cena, il decesso, che ha sconvolto il mondo politico trevigiano e veneto. La politica, l’impresa, il territorio perdono una delle voci più schiette e libere. Aveva 69 anni. Da un anno e mezzo combatteva con un tumore che non gli ha dato tregua. Ma Covre lo ha sempre sfidato apertamente, in linea con il suo carattere. E seppur indebolito, non sapeva chiamarsi fuori. Leggeva studiava e scriveva. E come sempre, non le mandava a dire, ogni volta che c’era da difendere le autonomie dei territori, il suo sogno federalista, la sua robusta devolution. Fino al punto di aver sfidato la Lega dichiarandosi a favore del referendum di Renzi, scelta che gli era costata l’espulsione dalla Lega abbracciata ancora a fine anni ’80, tempi di Liga, e di una lunghissima avventura amministrativa prima e politica poi che ne avrebbe fatto una delle bandiere, e certamente uno degli uomini più popolari e apprezzati.
Non aveva esitato a contestare Salvini per l’alleanza con i grillini, assistenzialisti. A combattere ogni ingerenza di Roma.
E pochi come lui, in una coerenza spinta fino al limite estremo, sapevano coniugare visione, rigore e aperture. Forse per questo interpretò il ruolo di sindaco in un modo che ne determinò una dimensione politica nuova, da prima espressione e voce dei territori.
Da questa sua felice intuizioni nacque, sulla spinta di Giorgio Lago, il movimento trasversale dei sindaci, straordinario laboratorio amministrativo che univa gli schieramenti nel nome della buona amministrazione delle risorse, delle legittime rivendicazioni di un Nordest che portava tante tasse a Roma ma riceveva, allora e oggi molto meno, beffato dalla autonomie delle regioni confinanti e da una burocrazia asfissiante. Una rivoluzione, che culminò prima nella battaglia per il 20% dell’Irpef, non avallata infine da Bossi. E Covre non esitò mai a sfidare il Senatùr, contestandogli le idee secessioniste e ribadendo l’opzione federalista, suo riferimento ideale assoluto. «Era avanti», lo dicono tutti. «E ti faceva sempre pensare, fossi in sezione o al Parlamento, al bar o davanti a Bossi».
Nato a Santa Maria del Palù, comune di Fontanelle, si era trasferito con la famiglia a Colfrancui di Oderzo. Aveva studiato Ragioniera, poi qualche esame di Scienze politiche, infine il lavoro da agente di commercio nel settore dei mobili. Paradigma assoluto dell’uomo artefice imprenditoriale delle sue fortune aveva fondato alla fine degli anni ’80 l’Eureka a Gorgo al Monticano, azienda di maniglie, poi raddoppiata con la Point che produceva mobili.
E pochi come lui hanno saputo coniugare la cultura aziendale – era la voce più autentica di queste latitudini di Pmi e partite Iva e religione del lavoro e del sacrificio – ,con una capacità di amministrare da buon padre di famiglia. Nel 1990, quasi per scommessa, avvicinato da Marin e Rocchetta, si era candidato a Motta di Livenza per la Liga. Ed era entrato in consiglio comunale. Nel 1993, la candidatura a sindaco di Oderzo, primo grande centro della Marca conquistato dal Carroccio. Con lui allora Edda Battistella, il giovanissimo Manzato, Pezzuto, Serafin, Pradal. Un mandato, poi il salto in Parlamento, alla Camera, e la nomina nel cda dell’Inail. E un mandato di capogruppo a Mansuè, e uno da consigliere provinciale sotto la presidenza di un giovanissimo Luca Za ia. Bepi Covre fu anche apprezzato editorialista dei nostri giornali, sempre lucido e franco, nelle sue analisi.
Lascia la moglie Oliva, e i tre figli, Giovanni, Martina e Angela – i primi due lavorano nelle aziende paterne, l’altra lavora a Milano -, cinque adorati nipotini, il fratello Giorgio.
Vastissimo il cordoglio, non solo nella Marca. In chi lo è andato a trovare nella sua casa di Mansuè, nelle ultime settimane, prima della stretta, l’indelebile immagine di un uomo minato che non cedeva di un millimetro sulle sue passioni: lettura, scrittura, e storia. Divoratore di liberi: l’impero inglese l’ultimo suo pallino. —
Andrea Passerini
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