Death era Marco Bergamo? La pista su via Poma che porta al serial killer di Bolzano

Un serial killer venuto da fuori potrebbe aver ucciso Simonetta Cesaroni il pomeriggio del 7 agosto 1990. Uno mai visto di persona, conosciuto attraverso i messaggi anonimi che allora si potevano scambiare su Videotel. Uno che l’aveva incuriosita e al quale forse aveva dato appuntamento. Salvo poi trovarsi di fronte una persona sgradita: il rifiuto di prestarsi all’incontro galante avrebbe scatenato la furia dell’uomo, che l’ha colpita con 29 pugnalate, massacrandola.
Non l’hanno mai scoperto perché lo cercavano a Roma, mentre lui era partito da Bolzano la mattina del 7 agosto ed era rientrato la stessa notte. Si chiamava Marco Bergamo, se era lui. Aveva già ucciso due donne e ne avrebbe uccise altre tre, tutte allo stesso modo, prima che riuscissero a prenderlo il 6 agosto 1992. Il giallo di via Poma che resiste ancora oggi potrebbe avere questa soluzione.
La prospetta Paolo Cagnan, condirettore dei nostri giornali, in un libro presentato a Bolzano (“Anatomia di un serial killer – Marco Bergamo, storia del mostro di Bolzano”, Athesia editore, 20 euro).
Non è una esercitazione oziosa. Sul delitto di via Poma la procura di Roma ha riaperto le indagini a marzo dell’anno scorso. Tutto torna in ballo e Paolo Cagnan ha molto da raccontare. Sul mostro di Bolzano, perché all’epoca lavorava come cronista di nera per l’Alto Adige ed è stato l’unico giornalista capace di instaurare in qualche modo un dialogo con Marco Bergamo in carcere (dove è morto nel 2017). Ma soprattutto sul collegamento, che non è solo nella meccanica delle uccisioni, tra i delitti di Bolzano e quello di via Poma, grazie a un supertestimone, una donna.
Nel libro è presentata con il solo nome di battesimo, Elsa. Un giorno del 2011 Elsa gli telefonò raccontandogli che Simonetta Cesaroni e Marco Bergamo si erano conosciuti nella messaggeria di Videotel. Ne era sicura, aveva le prove, poteva dimostrarlo.
Qui è necessario un salto indietro.
Bisogna sapere che il libro di Cagnan di oggi è in realtà una seconda edizione, una specie di sequel. La prima edizione risale al 1994, era un instant book scritto dal giovane Cagnan dopo l’arresto e il processo al mostro di Bolzano. La sentenza attribuì a Marco Bergamo cinque omicidi, anche se lui ne ha confessati solo tre.
La prima ragazza che uccise si chiamava Marcella Casagrande, aveva solo 15 anni, tre meno di lui. Era il 3 gennaio 1985, l’aveva incontrata casualmente. Marcella abitava in un condominio e aprì la porta al suo assassino. Il particolare indusse la polizia a ritenere che si trattasse di un vicino ma le indagini non portarono mai a nulla.
La seconda vittima era una giovane prostituta con cui Marco Bergamo si era appartato il 7 gennaio 1992, Renate Rauch, responsabile forse di averlo deriso perché era impotente. La confessione viene strappata dal pm Guido Rispoli che fa vedere a Bergamo un biglietto lasciato da qualcuno sulla tomba della disgraziata: «Mi dispiace ma quello che ho fatto doveva essere fatto e tu lo sapevi. Ciao Renate».
È la sua scrittura, l’assassino crolla e confessa.
Per il terzo omicidio, compiuto il 6 agosto 1992, l’arresto di Bergamo è quasi in flagranza. Anche stavolta si tratta di un appuntamento notturno con una giovane prostituta, Marika Zorzi, che si difende con tutte le forze: lui la scarica sul ciglio della strada agonizzante, ma ci sono testimoni, la mattina seguente incappa in una pattuglia che lo arresta. Cagnan descrive la tensione che si respirava a Bolzano, quasi militarizzata in quei mesi segnati dalla caccia al maniaco killer.
Il processo stabilisce che Bergamo aveva ucciso anche nel giugno del 1992, anche se lui nega: è l’assassino di Renate Troger, una ragazza che faceva l’autostop. Ed è anche l’assassino di Annamaria Cipolletti, una professoressa con doppia vita, trovata morta nell’appartamento in cui riceveva i clienti molti anni prima, il 3 gennaio 1985.
A inchiodarlo sono le modalità di queste esecuzioni, l’aggressione che comincia sempre alle spalle, il numero delle pugnalate inferte, il fatto che colpisce le vittime anche agli occhi perché non sostiene il loro sguardo, il fatto che si porta sempre via i loro indumenti intimi.
Particolari che si incontrano anche nel delitto di via Poma. Ma qui il collegamento è più solido. C’è la supertestimone Elsa, che nel 1990 ha 24 anni e lavora per alcune società che gestiscono il servizio Videotel. È amministratrice di sistema, in sigla SysOp, controllore del traffico che è soprattutto notturno. Gli utenti chattano coperti da nickname (nomi di fantasia) e si possono consentire tutto.
Elsa è colpita dal linguaggio violento di cui fa ampio uso un certo Death (“Morte”) mentre chatta con Veronica, altro nickname. Death si presenta come un professore, ha un fare posato ma quando il discorso si sposta sul sesso sbarella del tutto: «Ti metto a testa in giù perché non voglio più vedere i tuoi occhi e ti sparo da dietro la testa».
Coperta da nickname Elsa dialoga con Death, rendendosi conto della sua pericolosità. Ne parla ai suoi capi, cerca di mettere in guardia Veronica, che invece pensa che l’avviso sia dettato da gelosia. Finché la sera dopo il delitto di via Poma, Death si fa vivo con Elsa per dirle: «Hai visto, l’ho fatto, l’ho uccisa per te». E le racconta come.
Veronica, che le aveva detto di chiamarsi Simonetta nella vita reale, scompare da Videotel. E Death era davvero Marco Bergamo? Elsa se ne convince quando legge il libro-prima edizione di Paolo Cagnan. Ne parla ovviamente agli inquirenti, ma non riceve molto credito. Torna a parlarne a Cagnan e nasce così il libro-seconda edizione: il giornalista approfondisce questa pista, elencando una decina di elementi a sostegno, a beneficio della procura di Roma.
Per finire un dettaglio non tanto a margine: come vivono i familiari di un serial killer? Il padre di Marco Bergamo si è suicidato.
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