Eredità Conte, intrigo da 90 milioni
Tre anni prima di morire l’imprenditore acconsentì alla procura in favore di Luciano Cadore. Nel patrimonio posto sotto sequestro dalla magistratura anche gli 8 milioni versati ad Alessandro Castellini

Mario Conte
È una storia singolare quella del testamento di Mario Conte, pubblicato giusto un anno fa il 6 dicembre 2008. Una storia i cui protagonisti, oggi di primo piano, forse sono soltanto comparse che hanno regalato faccia e reputazione a personaggi, di rilievo pubblico, finora sullo sfondo. In gioco, un tesoro da 90 milioni di euro custodito con prudenza e parsimonia. Denaro investito con saggezza e lungimiranza nell’immobiliare: migliaia di metri quadrati in città, nell’edificio di Riviera Mugnai 24, dove l’imprenditore viveva (e aveva trasferito il suo laboratorio di pellicceria chiuso quasi vent’anni fa) e possedeva molti appartamenti. E poi ancora case in piazzetta Forzatè 15, in piazzetta Petrarca, oltre a una villa con terreni nel comune di Teolo. E grandi somme investite nella finanza: obbligazioni e titoli tenuti d’occhio ogni giorno.
Soldi a palate, che fanno gola a molti. Soldi che hanno scatenato appetiti incontenibili, sfregiato amicizie, infranto impegni e promesse, calpestato quella devozione al bene comune proclamato a parole e tradito nel quotidiano. C’è tanta Padova dentro questa storia. Quella dell’Antonianum e della Fondazione Petrarca, istituzioni storiche della città alle quali Mario Conte aveva contribuito con il suo patrimonio, convertito al fascino di una fede d’azione e di un pastore di anime, come padre Luigi Pretto, mente progettuale e stratega dei Gesuiti cresciuti all’ombra del Santo. E ancora c’è la Padova del fervore economico dagli anni ’60 ai ’90, anni durante i quali abilità e scaltrezza, insieme al fiuto per gli affari senza troppi peli sullo stomaco, avevano potuto moltiplicare a dismisura guadagni incamerati a fiumi, spesso senza i riflettori del Fisco all’epoca spesso troppo disattento, e creare ricchezze, promuovendo - dagli scranni più bassi ai posti in prima fila - figli «del popolo» che sapevano lavorare di cervello e di mano. E infine c'è la Padova dei professionisti di rango, giovani in carriera come il commercialista Alessandro Castellini, e di qualche politico. Un nome fra tutti, quello dell’ex sindaco azzurro Giustina Mistrello Destro, alla quale il pellicciaio-imprenditore non aveva lesinato contributi per la campagna elettorale destinata a portarla nel 1999 alla guida della città.
È in questo ambiente che si muove Mario Conte, morto straricco e senza figli. Morto, lasciandosi alle spalle un patrimonio che fa fatica a misurare chi è abituato a fare i conti con il portafoglio in mano e lo stipendio fisso.
6 dicembre 2008: nello studio di un notaio di montagna viene aperto il testamento olografo di Mario Conte, trascritto nella conservatoria dei beni immobiliari di Padova il 16 del mese. Dietro la scrivania siede il dottor Giancarlo Muraro. Davanti a lui ci sono Luciano Cadore, e due impiegate del professionista, chiamate ad assistere in qualità di testimoni all’apertura di quel documento scritto, almeno ufficialmente, di pugno dal defunto Mario Conte. Poche parole vergate a penna: «Nomino mio unico erede universale mio “figlio” Luciano Cadore». La data è “Padova 2 settembre 1999”. Ex carabiniere in giovanile età, dal 1964 garzone di bottega e infine tuttofare alla pellicceria di Conte, Luciano Cadore, 63 anni, lasciata l’azienda alla metà degli anni ’80, diventa fedele servitore dell’imprenditore che finanzia gli studi della figlia Silvia, facendola assumere dalla Banca Antonveneta. Tanto è bastato per diventarne l’erede universale come «figlio dell’anima»? Cadore rivendica la sua intimità con il padrone: «Per me, era il nonno».
Un «nonno» che, a detta di molti, non aveva più voluto fare testamento dopo la morte della moglie nel 1996, promettendo di essere generoso con tanti: amici di vecchia data, collaboratori e opere pie. Così il 19 ottobre 2007 sottoscrive un documento predisposto dall’amico Fabio Presca, ex atleta del sodalizio Petrarca-Antonianum, e non dimentica nessuno: 10 milioni per il Cuamm Medici per l’Africa; un lascito al Petraca; 3,5 milioni all’Oic (Opera Immacolata Concezione); 1 milione ai Solisti Veneti; 2,5 al Cottolengo; ai tre collaboratori Luciano Cadore, Velia Bassan e Graziella Cecchetto Biasiolo 2 milioni di euro da spartire tra loro.
Quattordici mesi più tardi Luciano Cadore sarà l’unico beneficiario della milionaria eredità. E lui, a sua volta, appena incassata quella sterminata cifra, provvederà ad acquistare, con otto milioni di euro, una consistente percentuale di quote della società immobiliare Aurora srl, amministrata dal commercialista Alessandro Castellini, e di altre società. Poi non dimenticherà di essere munifico con chi era stato vicinissimo all’imprenditore dal quale aveva ottenuto sostegno: l’ex sindaco di Padova, ora parlamentare Pdl, Giustina Destro, riceverà per la sua neocostituita «Libera Fondazione» una donazione di un milione di euro.
Una generosità singolare quella del neomilionario Luciano Cadore che, in vita Conte, mal sopportava l’insistente presenza di madame Destro capace di esercitare sul pellicciaio-imprenditore un forte ascendente. Pure Cadore negli ultimi tre anni aveva rafforzato la propria influenza sul datore di lavoro, con qualche guaio di salute che andava moltiplicandosi. Tuttavia il loro il rapporto era sempre molto netto: da una parte c’era il capo, dall’altra il dipendente. Conte gli dava del «tu» e non aveva mai ammesso quell’assistente alla tavola con gli amici; Cadore rispondeva con il «lei» e restava fuori della porta.
L'unico lavoratore dell'azienda «Contefurs», davvero uno di casa, era l'ex contabile Antonio Marchesi, uomo di totale fiducia morto prematuramente di cancro, motore delle operazioni finanziarie di Mario Conte. Quando scomparve il tecnico, Luciano Cadore fu promosso alla corte domestica dell'imprenditore sia pure con tanti «distinguo». Ma nel 2005, d'improvviso, la distanza si accorcia. L'anziano, seguito dal medico Aldo Opportuno, dev'essere ricoverato. Le governanti insistono per trasferirlo all'Opera Immacolata Concezione.
Cadore si oppone e Conte finisce all'ospedale vecchio dove, il 19 novembre, acconsente a una procura più che generale a favore del tuttofare-maggiordomo Luciano Cadore. Acconsente, appunto, senza firmare: nel documento si legge che «Mario Conte dichiara di non poter sottoscrivere l'atto in quanto affetto da patologia che comporta tremore alle mani», benché il testo non faccia riferimento ad alcun certificato medico che confermi lo stato d'incapacità. Cadore, qualificato come «professionista», è autorizzato a «svolgere tutti gli atti di ordinaria amministrazione volti alla conservazione del patrimonio presente e futuro...», esclusi «gli atti di straordinaria amministrazione e gli atti di alienazione dei beni del patrimonio del mandante». Ammessa una lunghissima serie di atti che vanno dal «pagamento delle prestazioni professionali e degli stipendi del personale all'esazione di capitali, interessi, mandati, assegni, importi di vaglia e altro fino alla stipula di contratti bancari di apertura di credito e di conto corrente e all'apertura di cassette di sicurezza (con la possibilità di prelevarne il contenuto) nonché di emettere pagherò o di nominare e revocare avvocati».
E' la prima volta che Mario Conte perde il controllo sul suo immenso patrimonio. E da chi è stata redatta la procura? A sottoscriverla è il notaio Riccardo Speranza (con studio in piazza Garibaldi 8, nello stesso piano dove si trova la «Libera Fondazione» di Giustina Destro) davanti a due testimoni d'eccezione: il commercialista Alessandro Castellini, pure con studio in piazza Garibaldi 8, e un suo collaboratore, il dottor Giovanni Corsi. Alessandro Castellini è proprio quel Castellini al quale Cadore, tra i primi atti di disposizione dell'eredità, farà il bonifico da 8 milioni di euro per l'acquisto di quote dell'Aurora e di altre società. Quote Aurora messe sotto sequestro lo scorso novembre - come la piccola parte dell'eredità finora ritrovata - dal Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza del maggiore Antonio Manfredi su richiesta del sostituto procuratore Sergio Dini, che coordina l'inchiesta sul contestato testamento.
Singolare il destino di quella procura. Conte aveva depositato gran parte del suo patrimonio, in contanti e in investimenti oltreché in cassette di sicurezza, presso l'Antonveneta di via 8 Febbraio. Tuttavia aveva rapporti pure con Banca Intesa (ex Cariplo) in Riviera Mugnai, a due passi da casa, dove aveva acceso un conto con alcune centinaia di migliaia di euro. Eppure, dopo una verifica con l'ufficio legale, è solo Banca Intesa a rifiutare di riconoscere validità a quella procura a 360 gradi presentata da Cadore. Una procura giudicata quasi senza limiti.
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