Evasione, riciclaggio e mattone: lo studio padovano scelto dai big

Non solo Galan: dalla rete di relazioni di Venuti alle architetture finanziarie e i servizi offerti da Penso & Associati, il fil rouge tra Veneto ed Emirati Arabi
Giancarlo Galan ANSA/CESARE ABBATE/
Giancarlo Galan ANSA/CESARE ABBATE/

PADOVA. Povero Giancarlo Galan. Lo scomodano ancora per cose vecchie, risapute. Ammesse, patteggiate e passate in giudicato. Aveva un commercialista (e chi non ne ha uno), di cui si fidava e che di lui si fidava (ci mancherebbe), con il quale viaggiava borderline e talvolta off limits (qui ci fermiamo con le generalizzazioni, non tutti fanno così). Ma l’ha confessato nel 2014: era il suo prestanome.

LA CENTRALE

Nello studio di Paolo Venuti avevano architettato, per esempio, l’operazione di acquisto dell’azienda agricola Frassineto da don Gelmini, intestando la proprietà a un altro prestanome, niente di meno che Monica Merotto, moglie di Niccolò Ghedini.

A Paolo Venuti Giancarlo aveva intestato il 7% di Adria Infrastrutture, la società dei project financing (grandi lavori regionali) presieduta da Claudia Minutillo, ma ideata da Piergiorgio Baita, che aveva regalato a lui e all’assessore Renato Chisso la quota di partecipazione. Erano finiti in carcere anche per questo.

MARIAN - AGENZIA BIANCHI - PADOVA - STUDIO PENSO
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LE PARTECIPAZIONI

Con un sospeso: Chisso, che aveva una quota più piccola di Adria, il 5%, aveva voluto essere liquidato. Baita la fece valutare dallo studio di commercialisti Cortellazzo-Soatto di Padova e pagò 1.800.00 euro a Claudia Minutillo, prestanome di Chisso.

Il sospeso è che quel denaro non si trova più. Chisso dice che non l’ha mai ricevuto e sfida a trovarglielo. Il 7% di Galan intestato a Venuti è invece la pista seguita dai finanzieri per mettere insieme il quadro di oggi. Che il denaro fosse nella disponibilità di Venuti si sapeva da intercettazioni tra lo stesso Venuti e la moglie, contenute nelle carte del processo Mose, se non andiamo errati. Oggi viene precisato che si trattava di un milione e mezzo, depositato in un conto di Veneto Banka a Zagabria, intestato ad Alessandra Farina, moglie di Venuti.

Giancarlo Galan torna in scena come pesce pilota, suo malgrado. Per inseguire il 7% della quota, la Guardia di Finanza ha sventrato lo studio Venuti-Penso ed è venuto fuori un “nero” più nero di quando tiri in barca una seppia gigantesca, per restare in tema. Anche se Giancarlo Galan adesso va a caccia.

booking.com
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PARADISI FISCALI

Il cosiddetto tesoro di Galan impallidisce al confronto dei soldi sottratti al Fisco, imboscati a Panama o alle Bahamas, grazie a una sponda compiacente in Svizzera, poi fatti rientrare in Italia e utilizzati alla luce del sole.

Quando era presidente della Regione Galan chiese un giorno in aula se i veneti più ricchi non fossero i consiglieri regionali. Aveva in mano un prospetto sulle dichiarazioni dei redditi, dal quale risultava che le aliquote più alte erano applicate ad un numero ridottissimo di contribuenti. Ricordando quel passaggio di inizio anni Duemila, c’è da chiedersi se bisognava aspettare i Panama Papers per cominciare a bucare il sistema.

MARIAN - AGENZIA BIANCHI - PADOVA - VIA PORCIGLIA 14
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PORCIGLIA

Nello studio Penso Venuti sono passati fior di imprenditori veneti, gente rispettabilissima, che oggi sarà un po’ meno sicura di sé. Il denaro riciclato veniva utilizzato anche nella gestione immobiliare. Qui salta fuori la società Porciglia Srl, titolare di una palazzina che vale 3,5 milioni, con canoni di locazione per 1,7 milioni. Sarà un caso, ma in via Poriciglia 14 c’è lo studio di commercialisti Cortellazzo-Soatto, principale riferimento della Delta Erre, potente società di organizzazione e revisione aziendale.

GLI EMIRATI

Di collegamento in collegamento si arriva perfino a Dubai, dove secondo l’ordinanza finiscono investiti molti dei proventi fatti uscire in nero dal Veneto. Si rischia di chiudere un’altra pagina rimasta aperta dal 2007-2008, quando comitive di imprenditori percorrevano questa rotta, capeggiate da Giancarlo Galan e Niccolò Ghedini, che loro volta seguivano l’apripista Mauro Mainardi.

C’era un passa parola tra politici e loro amici per un grosso business immobiliare. Gli iniziali grossi profitti avrebbero favorito impegni più consistenti, a cui poi è seguito un tracollo. Qualcuno ha guadagnato, qualche altro ha preso grosse scottature.

Ma era tutto estero su estero, un silenzio di convenienza ha coperto la vicenda, rancori compresi. Mainardi, l’uomo di Dubai, doveva essere premiato con un posto in Parlamento. Non venne eletto e fu chiesto ad Elisabetta Casellati, che era sottosegretario alla giustizia, di dimettersi. Lei rispose di no e andò a dirlo a Mainardi il giorno del suo matrimonio, celebrato a Villa Rodella. —

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