Fase 2, non costruiamoci illusioni: non è il ritorno alla vita di prima

La chiamano Fase 2, in realtà è una fantasia rarefatta scandita da passaggi, da tempi; rarefatta perché il virus è un soggetto impalpabile e ancora molto sconosciuto. Immaginare un percorso è una necessità sociale, ma non corrisponde veramente a quello che effettivamente è nella testa della collettività.
Fase 2 è la sintesi perfetta delle illusioni, una di quelle parole magiche che assomigliano a un placebo, necessarie per far vedere che c’è un orizzonte, indispensabile per far uscire il nostro mondo dalla solitudine mentale. Serve, anche, per dare le informazioni necessarie per poter gestire il presente e consentire almeno a livello magico di pensare di avere un futuro.
Le responsabilità
Si viaggia a vista, guardando il mare, controllando il cielo, valutando il peso dell’aria. È così che funziona, chi ci governa e gestisce la situazione ha addosso il poderoso peso delle responsabilità, ma i ruoli, se si hanno, si devono portare avanti nel miglior modo possibile.
Il virus fa guardare indietro, se si è abituati o capaci di farlo, ma in questo momento in realtà tutti vorrebbero guardare fuori da se stessi, vorrebbero poter sognare ancora ciò che eravamo, il mondo che conoscevamo. Vorremmo ancora guardarlo con occhi positivi, quel mondo, anche se il covid sta mettendo in luce la nostra follia, la voracità del nostro vivere passato, quello che ha distrutto le foreste, contaminato il mondo, tagliato alberi, in nome del profitto.
Essere consci di aver distrutto equilibri ed ecosistema: oggi vorremmo uscire per vivere ciò che eravamo, un’ansia tale da contare i giorni e i minuti che ci separano dal momento in cui potremo uscire per poterci sentire apparentemente liberi. I meccanismi che dobbiamo affrontare sono complessi, non sempre comprensibili alla coscienza.
Eccone alcuni:
1 – ansia di uscire
2 – difficoltà nel ritrovare i propri confini
3 – difficoltà di orientamento
4 – angoscia di contaminazione
5 – rimozione, rifiuto delle regole, negazionismo.
Ansia di uscire
Più l’attesa è forte, quasi spessa, più il contenimento è stato causa di sacrifici economici e morali, più l’angoscia è stata il filo conduttore di questi mesi, Allora l’idea di un’apertura, qualsiasi, di un metro, 100 metri, 100 chilometri, scatena in noi l’irrequietezza, e per questo sarà il nervosismo incontenibile a caratterizzare la
Fase 2.
È attendere il 4 maggio o il primo giugno (è irrilevante la data) che rende l’idea che tutto sia reale e più facile, anche se carico di dubbi sull’idea di speranza. Troppe aspettative, è chiaro, sarebbero da evitare, per non dover vivere la difficoltà di guardare il mondo che sta fuori come un deludente pericolo.
Nuovi confini
La difficoltà di capire quali siano i confini che si espandono dopo aver vissuto un periodo di chiusura, può essere un problema. Il riappropriarsi di un controllo minore può caricare l’individuo di paure irrazionali: ansia di prestazione, perdita del desiderio, difficoltà a riappropriarsi di ciò che era il prima. Così si rischia di non vedere il cambiamento come possibile e positivo.
Ritrovare l’orientamento
Dopo la degenza, la permanenza coatta, dopo un periodo lungo in cui si è stati chiusi in spazi limitati e definiti, è anche l’orientamento a essere manomesso. Dovremo fare i conti con il senso di smarrimento, con una perdita parziale delle cognizioni elementari. Uscendo, potremmo provare un senso di inutilità, di paura, potremmo avere la sensazione della delusione e della precarietà nel fare ciò che ci sembrava indispensabile: correre, camminare, salutare, abbracciare, poter prendere l’auto e trovare qualcuno di caro. Anche i sentimenti, quelli pensati e sognati in questi mesi, potrebbero diventare quasi inutili.
L’angoscia della contaminazione
È l’angoscia di contaminazione ciò che ci stupirà maggiormente. Non abbiamo potuto abbracciare, ma in realtà non riusciremo nemmeno più a farlo. È la minaccia del virus ad aver costruito un muro di reticenze e di sospetti tra noi e gli altri. Passerà solo quando avremo la certezza che il virus non ci sarà più.
Vivremo una affettuosità a distanza, la Fase 2 non ci restituirà nulla di ciò che avremo perso. Ci lascerà interdetti e smarriti senza la capacità reale di sapere se potremo ridefinirci o se improvvisamente saremo costretti a fuggire nuovamente nelle nostre tane.
La negazione
Riguarda tutto il comparto negazionista, complottista. A essere coinvolti sono gli esasperati del rifiuto, quelli capaci di costruirsi un’idea su tutto e su niente. È il tempo dei truffatori, quelli che sottomettono gli ingenui, che escono senza mascherina e invitano amici a fare il barbeque. Ci sono quelli che truffano nei tempi di disaffezione sociale, quando il controllo si sposta solo sulla sanità, dimenticando il resto. Ci sono mondi che approfittano dell’ansia collettiva per guardare ai propri interessi, e allora distruggono parchi e giardini nella notte, per costruire chissà cosa di cemento. Ma ci sono anche coloro che si presentano alla soglia per vendere strani intrugli magici. È da poco pubblica la notizia dell’ennesima truffa di mascherina e affini.
Ma questo è anche il tempo della demagogia perché il tessuto sociale ha bisogno di finzioni e progetti irreali. La Fase 2 sarà un momento complesso, un passaggio border line tra il reale e il paranoico, tra il possibile e il liberatorio. E lo sappiamo: dopo la Fase 2, ci sarà la Fase 3 e poi chissà cos’altro ancora: in realtà non siamo pronti per fare né grandi né piccoli passi. Vorremmo svegliarci, come da un sogno, e scoprire che tutto è rimasto come prima, perché fare i passi lenti ci obbliga, ancora una volta, a fare fatica, ad avere chiaro il senso di responsabilità, capire quanto siamo soli. Ci obbliga ad attraversare il fiume della paura. Come fare? Non ci sono alternative: con calma, con sogni equilibrati, usciremo a piccoli passi, con il respiro lungo, gli occhi aperti e il coraggio nel cuore. —
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Per scrivere a Vera Slepoj: cultura@mattinopadova.it - Oggetto: SLEPOJ
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