Federalismo a geometria variabile
La presidente di Confindustria parlando di federalismo distingue due temi: sì al federalismo istituzionale e fiscale, no a quello contrattuale, cioè no alla contrattazione territoriale.
Non sono convinto che si possa distinguere in modo così netto.
Credo che il tema del federalismo sia ormai maturo e vada affrontato rapidamente, se vogliamo evitare ulteriori spinte centrifughe come quelle di molti comuni veneti e ulteriori prese di distanze da una politica centralistica che non risponde ai bisogni dei cittadini.
Questo vale per il centrosinistra, che ha tardato troppo ad affrontare il problema; ma vale anche per il centrodestra, che nel periodo del suo governo (2001-2006) non ha dato prova migliore.
Questa volta non si può sbagliare. Bisogna fare chiarezza e sintesi fra le varie proposte in campo, che provengono sia dalla maggioranza che dall’opposizione, che già aveva avviato un disegno di legge, ampiamente discusso con le Regioni e con le autonomie, e fermato dalla crisi di governo nell’iter parlamentare.
Occorre tenere assieme decentramento di poteri e autonomia fiscale; è necessaria una visione d’assieme per evitare fughe in avanti come quella dei «sindaci del Piave», che pretendono subito una parte dell’Irpef; una visione condivisa delle regole di base per tutto il Paese può permettere un federalismo a geometria variabile. Queste regole di base devono combinare autonomia con solidarietà, cioè margini veri di autonomia impositiva ai governi locali e insieme un livello di servizi essenziali da garantire a tutto il Paese. Alcune percentuali di tassazione da garantire ai singoli territori di cui si parla, fino all’80%, sono incompatibili con la garanzia dei servizi essenziali per le aree più deboli. Così non si fa solidarietà, ma si spacca il Paese.
E’ invece legittimo, anzi necessario, pretendere che i trasferimenti statali non finanzino i servizi pagando a piè di lista sulla base dei costi storici, che quando questi riflettono inefficienze delle amministrazioni locali. Occorre richiedere l’allineamento, progressivo ma reale, di tutti i servizi locali ai costi standard delle amministrazioni virtuose. E’ la tecnica del benchmarking di cui parla anche il ministro Brunetta per ridurre gli sprechi della spesa pubblica.
Le esigenze di decentramento che valgono per le istituzioni e per il fisco, valgono anche per la contrattazione collettiva. Sono anni che si parla di riformare la struttura della nostra contrattazione collettiva per renderla meno centralistica e meno rigida. Ora anche i sindacati confederali hanno raggiunto un’intesa unitaria, che va nella direzione giusta del decentramento. E questo può favorire finalmente un’intesa con il mondo delle imprese.
La posizione della presidente Marcegaglia è che il decentramento contrattuale può avvenire non a livello di territorio, ma solo a livello d’impresa, perché solo lì si può valutare la produttività e quindi legare ad essa la dinamica dei salari. Ma la contrattazione aziendale copre solo una parte minoritaria del nostro sistema produttivo, 20-25% a seconda dei settori e dei territori. Di questo occorre tener conto se si vuole pervenire a un’intesa equilibrata fra Confindustria e sindacati: e una intesa è indispensabile, se si vuole razionalizzare la struttura contrattuale e favorire un buon clima delle relazioni industriali. Ci sono esperienze positive di contrattazione territoriale in vari settori, edilizia, agricoltura e artigianato. Il livello territoriale ha dimostrato di rispondere bene alle particolarità di questi settori, tutti caratterizzati da una maggioranza di piccole imprese, adattando alle loro esigenze le scelte contrattuali, anche retributive.
La valutazione della produttività è certo più difficile a questo livello, ma non è impossibile, specie se si scelgono ambiti territoriali economicamente omogenei (l’esempio migliore è quello dei distretti). E se tale valutazione viene fatta non in modo arbitrario e aprioristico ma sulla base di consuntivi fondati su dati oggettivi. Inoltre, in sede territoriale si può tener conto anche delle condizioni generali dell’area, compreso il costo della vita. Lo conferma il contratto degli artigiani, ove si stabilisce che sia proprio il livello territoriale a stabilire il legame della retribuzione con l’inflazione e l’eventuale recupero retributivo in caso di scarto fra incrementi retributivi definiti a livello nazionale e inflazione reale. Le soluzioni possibili esistono se c’è un impegno comune; ed è importante che uno stimolo decisivo a ricercarle venga proprio dalle aree come il Veneto dove le esigenze di decentramento sono più forti.
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