Fondazioni, l'università e i suoi nemici

Ache punto è la costituzione di fondazioni universitarie in Italia? Le fondazioni universitarie sono soggetti di diritto privato resi possibili da una normativa speciale varata circa sette anni fa per permettere alle università pubbliche di svolgere iniziative di supporto alle loro attività istituzionali (didattica e ricerca), qual è per esempio la raccolta di fondi provenienti da soggetti diversi dallo Stato per il finanziamento di progetti di ricerca congiunti università-imprese o di altri progetti speciali oppure per il finanziamento delle attività correnti delle università. I lettori di questo giornale ricorderanno che l'Università di Padova è stata fra le prime università italiane a varare lo statuto della sua fondazione e anzi a promuovere, con l'aiuto di alcuni parlamentari locali, un disegno di legge volto a rendere le donazioni a fondazioni universitarie interamente deducibili dal reddito dei donatori. Questo disegno di legge precedette di poco la più vasta norma che ha dato origine al «5 x mille» ed è stato infine trasformato nel meno noto comma 353 della legge finanziaria 2006.


Secondo il comma 353 le donazioni a fondazioni universitarie (e ad altri enti lì elencati) per la realizzazione di progetti di ricerca sono interamente deducibili dal reddito imponibile Ires.

Risultano oggi costituite circa 12 fondazioni universitarie di cui una sola, la Fondazione Iuav, risiede nel Nordest. Una di queste fondazioni, la Fondazione Marco Biagi, costituita dall'Università di Modena e Reggio Emilia, ha ospitato nei giorni scorsi una prima riunione del Coordinamento nazionale delle Fondazioni universitarie (Cnfu), un organismo creato all'interno della Crui, per la costituzione di un tavolo tecnico fra il Cnfu, il ministero dell'Università, la Conferenza Stato/Regioni, l'Anci, l'Anpi, le associazioni di fondazioni bancarie e banche (Acri/Abi) e le associazioni nazionali di categoria (Confindustria, Confapi, Confartigianato e altre).

I vari interventi hanno permesso di confrontare le esperienze realizzate finora e di mettere a fuoco gli ostacoli che le università incontrano ogni volta che si accingono a costituire una fondazione propria. Da tutti questi interventi è emersa la sensazione che le fondazioni universitarie faticano a nascere e, se nate, faticano a crescere perché si trovano contro una coalizione silenziosa di interessi costituiti.

Chi sono i titolari di questi interessi?


Qualcuno ha detto: sono gli stessi docenti che, da soli o in gruppo, hanno paura di perdere l'autonomia con cui ora chiedono e gestiscono i finanziamenti di propri progetti. Paura infondata, è stato obiettato, perché le fondazioni universitarie non impedirebbero a nessun docente di fare ciò che già fa mentre procurerebbero finanziamenti in rete che ognuno da solo farebbe più fatica a trovare o gestire. Fra i contro-interessati sono anche le fondazioni bancarie locali, ha detto qualcun altro, perché queste avrebbero la paura equivalente di perdere l'autonomia con cui ora decidono chi e che cosa finanziare nelle università residenti sui loro territori (tanto più che solo a queste è riservato il controllo delle fondazioni da loro costituite). Paura ancora più miope, verrebbe da dire, se si pensa che, trasferendo a un unico interlocutore la gestione delle richieste provenienti dalle università (come un mese fa ha deciso di fare la Fondazione Banca del monte di Lombardia diventando socio fondatore della Fondazione dell'Università di Pavia), le fondazioni bancarie ridurrebbero i costi operativi ora necessari per dirimere queste richieste e, senza perdere il controllo soffice che sempre eserciterebbe chi ha in mano i cordoni della borsa principale, permetterebbero alle fondazioni universitarie di far crescere la scala e la qualità dei progetti da realizzare tramite co-finanziamenti ottenuti da altri soggetti (bancari o industriali anche di altre regioni).


Che dire poi degli enti pubblici territoriali e delle associazioni locali di categoria? Questi, è stato detto, sono fra i contro-interessati alla nascita delle fondazioni universitarie per lo stesso motivo per cui lo sono le fondazioni bancarie. Peggio ancora, verrebbe qui da aggiungere, se si pensa che l'esortazione ricorrente di questi soggetti è «facciamo sistema!» e se si considera che, quando si tratta di fare sistema davvero (per esempio costituendo proprio una fondazione universitaria), essi finiscono per non farlo affatto, vuoi perché trascinati dal miraggio delle fughe in avanti, vuoi per il fascino irresistibile dello status quo.


E i sindacati? Più schietti degli altri, questi soggetti hanno esibito in diverse occasioni una certa ostilità verso la costituzione di fondazioni universitarie (perché queste spingerebbero verso una trasformazione ulteriore dei contratti dei dipendenti pubblici a tempo indeterminato in contratti di tipo opposto). Ma le argomentazioni usate convincono ancora meno delle precedenti. Qui infatti l'argomentazione prevalente («Ma così privatizziamo le università!”) da un lato stride con la norma che garantisce alle università il controllo delle fondazioni universitarie, mentre, dall'altro lato, sortisce lo stesso risultato cui conducono i pensieri di chi è contro-interessato per il motivo opposto (vedi sopra). Per non dire che le fondazioni universitarie possono sempre stabilire, in apposita convenzione con le rispettive università, che i dipendenti di queste possano essere trasferiti in quelle solo con il loro consenso e per esempio tramite l'istituto neutro del «comando». E infine per non dire che il ruolo strategico delle fondazioni universitarie è quello di allargare, non di ridurre o alterare, il perimetro dell'occupazione nel settore, ormai noto come economia della conoscenza, cioè in un settore che oggi è tanto trainante per l'economia e l'occupazione di un Paese quanto un tempo lo era il settore del carbone e dell'acciaio.

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova