Galan: "Sparito un miliardo e io, il mostro, pago per tutti"

Parla l'ex governatore del Veneto travolto dagli scandali Mose: "I 2,6 milioni da restituire allo Stato? Chiederò aiuto agli amici e a Berlusconi"
Foto Roberto Monaldo / LaPresse.23-06-2014 Roma.Politica.Conferenza stampa di Giancarlo Galan.Nella foto Giancarlo Galan..Photo Roberto Monaldo / LaPresse.23-06-2014 Rome (Italy).Press conference by Giancarlo Galan.In the photGiancarlo Galano
Foto Roberto Monaldo / LaPresse.23-06-2014 Roma.Politica.Conferenza stampa di Giancarlo Galan.Nella foto Giancarlo Galan..Photo Roberto Monaldo / LaPresse.23-06-2014 Rome (Italy).Press conference by Giancarlo Galan.In the photGiancarlo Galano

VENEZIA. Un anno dopo il voto alla Camera dei deputati che ha spalancato le porte all’arresto nell’infermeria del carcere di Opera a Milano, Giancarlo Galan racconta la «sua» verità e ripercorre le tappe della vicenda che gli ha sconvolto la vita: lo scandalo del Mose. Il patteggiamento per corruzione a 2 anni e 10 mesi non lo può cancellare nessuno, se non un processo di revisione, materia di competenza della Cassazione.

Onorevole Galan lei si sente un uomo sconfitto dalla giustizia o tradito dagli amici della politica e delle imprese?

«È troppo facile e comodo per tutti trovare due colpevoli dello scandalo Mose: Galan per il centrodestra e Orsoni per il centrosinistra, così abbiamo colpito tutti e due gli schieramenti. Poi ci hanno infilato dentro anche l’ex ministro Matteoli. Io e l’ex sindaco di Venezia i mostri dello scandalo del secolo. No, non mi rassegnerò mai. C’è tanta gente in giro per l’Italia che se la ride ed è felice della condanna di Galan. Ho patteggiato perché non avevo alternative se volevo uscire dal carcere. Mia figlia pensava che io non tornassi per odio nei suoi confronti. Bisogna capire invece dove sono finiti tutti questi soldi e studiare le carte. Baita ha parlato di una provvista di fondi neri pari a 100-150 milioni di euro l’anno creata dalle aziende con la sovraffatturazione. Tirate le somme si supera il miliardo di euro».

Lei sa che l’azione penale persegue solo fatti non prescritti nel tempo. Il Consorzio Venezia Nuova e il Mose esistono dal 1984. Sono passati 30 anni da allora.

«Questo è il punto. Se restiamo all’ipotesi dell’accusa i vari Galan, Matteoli, Orsoni, Chisso, Marchese, Spaziante e la Piva, insomma gli imputati che hanno patteggiato e coloro che andranno a processo avrebbero ricevuto qualche decina di milioni di euro, ma Baita parla di 150 milioni di fondi neri ogni anno. Dove sono finiti? Chi si è arricchito alle spalle degli italiani? Ne ha parlato Baita, che ha trovato un sistema già in atto, basti pensare alla sovraffatturazione delle pietre e lui lo ha perfezionato. Il sistema delle fatture false creava una provvista di 100-150 milioni l’anno. Il nero creato finiva in Canada, Svizzera, Croazia e a San Marino. C’è qualcuno che ne ha fatto tanti, ma tanti di soldi. E il vero business sarà di chi farà la manutenzione del Mose. Una manna che durerà 100 anni. Ma è mai possibile che a Luigi Zanda, che mi ha spiegato le virtù del Mose, nessuno abbia mai chiesto nulla di come funzionava il Consorzio Venezia Nuova? No, tutte le colpe sono di Galan e Orsoni. E poi s’è mai visto il presidente di una società, che controlla il 40% del Cvn, non sapere che il suo direttore generale emette fatture false per decine e decine di milioni di euro? Non l’hanno nemmeno interrogato. Io non lancio accuse contro nessuno, ma voglio solo ribadire di non aver messo in tasca nemmeno un euro perché i lavori del Mose sono stati decisi dal Cipe di Roma di concerto tra il ministro dell’Economia e quello dei Lavori pubblici. Con la vidimazione del Comitatone. Basta scorrere l’elenco dei ministri e troverete nomi sorprendenti».

Giancarlo Galan: "Lo stipendio da deputato mi serve per sopravvivere"
Giancarlo Galan

Il suo grande accusatore è Giovanni Mazzacurati, deus ex machina del Mose: ai magistrati di Venezia ha detto che il Consorzio Venezia Nuova le versava 900mila-1 milione di euro l'anno per cinque anni.

«La storia del versamento di un milione di euro l’anno è l’accusa più inverosimile. Mazzacurati la pronuncia al quarto interrogatorio bis. Prima aveva fatto altri nomi. C’è una strana interruzione in cui gli dicono: ingegnere, lei è stanco, vuole riposare un po’ ? Mazzacurati poi ritorna dentro e fa il mio nome e parla di un milione all’anno versato a Galan. E aggiunge: io non glieli ho mai dati. Fa il mio nome in forma balbettante. Ora Mazzacurati è in California con la moglie, si gode il sole in spiaggia e vive in una villa costruita con i fondi del Consorzio Venezia Nuova. Nessuno lo disturberà mai più. Troppo comodo».

I suoi rapporti di lavoro con l’ingegner Mazzacurati quali erano?

«Con Mazzacurati ho avuto nei miei 15 anni di presidenza del Veneto, vari incontri all’hotel Palace e all’ hotel Monaco di Mestre e in tutte le telefonate registrate non c’è una sola parola riferita ai soldi. Mai. Se Mazzacurati mi dava 100 mila euro al mese, possibile che Neri non ne sapesse nulla? I soldi me li portavano con l’aereo? E Piergiorgio Baita poteva non sapere nulla?».

Anche Claudia Minutillo le ha procurato un sacco di guai, la sua ex segretaria è diventata un teste chiave della Procura veneziana. Come mai?

«Con la Minutillo debbo recitare il mea culpa: non ho capito che lavorava per sé e per altri e non per me. Ho avuto tante segretarie e assistenti, la Milanato, la Lazzarin, Gian Lorenzo Martini, Giorgia Pozza e nessuno di loro girava con una Bmw 3000 e aveva 20 borsette di Hermes e una casa di lusso come la sua. Negli atti del processo mi si accusa di essere il vero proprietario delle azioni della mitica Adria Infrastrutture Spa, una società creata per dare uno stipendio alla Minutillo, che non ha mai ricevuto un solo incarico da parte della Regione. Peggio: non ha mai vinto un project financing e prodotto una sola lira di utile. Il vero proprietario era la Pvp, lo studio che fa capo a Paolo Venuti. Questa è la verità».

Resta Piergiorgio Baita, grande regista del sistema Mose: è già tornato a fare l’imprenditore.

«Baita fa delle accuse sostenibili, dà tante indicazioni e piste, è certamente un manager geniale e quando ha saputo che stava per scoppiare lo scandalo con le dichiarazioni di Colombelli, diceva: sono dei controlli fiscali, al massimo pagheremo una multa. Non è andata così. É un genio nel suo genere: per la seconda volta dimostra una straordinaria capacità di farsi credere dai magistrati».

Veniamo al processo: lei ha scelto il patteggiamento per evitare l’aula con il dibattimento pubblico e il confronto con i suoi accusatori. Come mai?

«Il motivo è uno solo: l’ho fatto per la mia famiglia. Ero in carcere e volevo assolutamente uscire da lì. Potevo io forse fuggire, inquinare le prove o reiterare il reato? Certo che no. L’ultimo reato ascrittomi era di tre anni fa. Se avessi voluto fuggire avevo un sistema semplicissimo: mi potevo candidare alle elezioni europee del 2014, capolista di FI a Nordest e un voto più di Remo Sernagiotto l’avrei preso. Oggi sarei a Strasburgo e a Bruxelles e non ai domiciliari».

E allora perché non l’ha fatto?

«Perché avevo fiducia nella giustizia. Pensavo di ricevere al massimo un’informazione di garanzia non di finire in carcere. Il 22 luglio 2014 tutto è crollato. Mia madre è morta di crepacuore pochi mesi dopo e la mia famiglia non sapeva come sopravvivere: con i conti correnti bloccati per mangiare ci hanno aiutato gli amici. Mia figlia aveva elaborato il meccanismo mentale che io non tornassi a casa per odio nei suoi confronti. Se ti dicono: la tua casa contro la tua libertà, cosa fai? Accetti. Pensavo che dopo il caso Tortora la carcerazione preventiva non superasse i tre mesi. Bugie. Rischiavo di restare in carcere altri sei mesi, con il giudizio immediato la detenzione si sarebbe prolungata per due-tre anni. E ho patteggiato».

Ora che la sentenza è definitiva lei ha annunciato la revisione del processo: su quali elementi pensa di formulare il suo ricorso?

«Ho appena illustrato uno scenario più che sufficiente, ma ci sono degli elementi nuovi che il mio collegio di difesa renderà pubblici al momento opportuno. Ho una missione nella mia vita. Dire ai veneti che non ho mai preso una lira per modificare una legge. L'altro dovere ce l'ho con mia figlia: combatterò in tutti i modi perché lei possa girare a testa alta consapevole che suo padre, Giancarlo Galan, non ha mai cambiato un appalto, un codicillo o una delibera in cambio di soldi. Potrà spostarsi su qualche strada che ho realizzato e usufruire degli ospedali che ho contribuito a far decollare. Poi deve anche sapere che l'unico rigassificatore che fornisce 8 miliardi di mc di gas mai realizzato in Italia l'ha fatto sempre suo papà. Mi resta solo lo strumento della revisione del processo, che utilizzerò fino in fondo».

Tra qualche mese dovrà restituire 2,6 milioni di euro: dove pensa di trovare questi soldi se non ha mai preso nemmeno un cent da Mazzacurati e in banca ha 30 mila euro sul conto corrente? Se non paga subito le mettono all’asta la villa di Cinto.

«Uno dei capi di imputazione riguarda i lavori realizzati a villa Rodella dal 2008 al 2011. L’ho inaugurata nel settembre del 2006 e dall’8 dicembre lì vivo con mia moglie e mia figlia. Tra qualche mese si celebra il processo a carico dell’architetto che ha eseguito i lavori. Lui non ha patteggiato: lo facciano questo processo. La verità è una sola: ho comprato una casa di campagna, l’ho ristrutturata e pagata con i miei soldi. A 25 anni ero un dirigente di altissimo livello di Publitalia, sono stato fortunato e ho avuto carriere ai massimi vertici. E mi sono permesso un lusso: in questa casa ci giocava mia moglie da bambino e ho dato bellezza al territorio salvando un edificio storico che andava in deperimento piuttosto che comprare una villetta di mattoni e cemento con i rubinetti dorati. Alla quattordicesima battuta d’asta villa Rodella è stata venduta per 250 milioni di lire, una somma alla mia portata e l’ho comprata. Ho sbagliato? Sì, è troppo sfarzosa.La difenderò con le unghie, spero che qualcuno mi presti i soldi».

Chiederà aiuto agli amici o alle banche con un supermutuo?

«Gli interessi su 2,6 milioni di euro non oso calcolarli, ma questo mi dispera meno, ho fiducia in me stesso. Magari con qualche sacrificio, se mi lasciano lavorare sono convinto che gli interessi sul prestito li pago tutti. Certo, non dormo alla notte all’idea di restare senza la casa dove vive la mia famiglia: risparmio persino sull’aria condizionata e dormiamo con le finestre aperte di notte. Alle 5 entra il sole e mi sveglio, scendo in giardino e lavoro nell’orto».

Onorevole Galan, il suo destino è in parte simile a quello di Silvio Berlusconi, anche lui alle prese con i guai giudiziari. Da quanto tempo non vi sentite?

«Con Berlusconi ci sono molti limiti nelle relazioni dirette. Io non posso andare da lui perché sono agli arresti domiciliari, lui non può venire da me e ha osservato lo stesso regime fino a un mese fa. Ma il mio rapporto con Silvio non è quello di un normale deputato di Forza Italia. La mia con lui è una storia di trent’anni. Insieme abbiamo fatto cose strabilianti in azienda e in politica. Ricordo solo il grande successo della tv commerciale che ha infranto il monopolio della Rai. Allora si chiamava Fininvest, oggi è Mediaset. E io ho guidato la scuola per eccellenza del marketing delle tv di Berlusconi, così abbiamo vinto la nostra battaglia. Il successo di Publitalia è studiato all’università».

Insomma, lei lancia un appello a Berlusconi per essere reintegrato come manager nel gruppo di Cologno Monzese appena decadrà da deputato?

«Un passo alla volta. Con Berlusconi mi lega anche la politica. Il Passante di Mestre è l’unica grande opera del patto con gli italiani 2001 realizzata dal centrodestra. L’ho fatta io in Veneto. Se Silvio avesse ascoltato la Lega di Bossi e il suo ministro dei Lavori pubblici Lunardi, oggi saremmo ancora lì a ad aspettare la costruzione della grande ruota meccanica per scavare il tunnel. L’ho fatta io quell’opera straordinaria del Passante di Mestre. Ecco la storia di 30 anni tra Berlusconi e Galan. A lui ho dedicato più della metà della mia vita, vuoi che mi abbandoni proprio ora?».

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