Gli alpini veneti a Milano nel ricordo di Iroso, l’ultimo mulo

All’Adunata del Centenario in arrivo 80 mila penne nere venete appartenenti alle dodici sezioni Ana della regione. «La cavezza di Iroso su un cuscino rosso» 
Allegranzi Anzano Il mulo alpino
Allegranzi Anzano Il mulo alpino

MILANO. Per l’Adunata del Centenario, con sfilata domenica in piazza Duomo, sono attese 80 mila penne nere dalle 12 sezioni Ana della Regione. Marceranno verso mezzogiorno, per circa due ore. Complessivamente le presenze saranno 400 mila, nelle previsioni del generale Renato Genovese, di Vittorio Veneto, che coordina l’organizzazione.

Gli applausi più fragorosi saranno per Vulcano, Milam Marna e Dora, i quattro muli del Reparto Salmerie di Vittorio Veneto, che si onorano di simboleggiare l’eredità dei veri muli alpini, qual era Iroso, morto nei giorni scorsi all’età di 40 anni (pari a 120 degli umani). Iroso, appunto, l’icona dell’alpinità.

Addio Iroso, il mulo mascotte degli alpini veneti

«Sì, ci sarà anche lui a Milano – anticipa Francesco Introvigne, il presidente dell’Ana - ma non con lo zoccolo dove è incarnata la matricola 212, perché il povero animale è sottoposto all’incenerimento, bensì con qualcosa che lo simboleggia».

Introvigne non vuol dire nulla di più, perché – dice – sarà una sorpresa. Si sa, però, che in queste ore i “veci” delle Salmerie stanno cercando affannosamente la “cavezza” del “generale” – questo grado, infatti, è stato riconosciuto all’animale dallo stesso presidente della Regione, Luca Zaia -, quella corda in cuoio che gli cingeva la testa in modo che il conducente potesse meglio accompagnarlo.

Una “reliquia”, la cavezza, addirittura più icona della stessa matricola. Testimonia, infatti, il legame tra l’alpino e il compagno di (dis)avventura. La cavezza della sicurezza, per l’uno e per l’altro, soprattutto nelle frequenti condizioni di rischio, lungo gli impervi sentieri dolomitici; solo le ferrate erano impossibili al mulo. La cavezza come icona della disciplina, del sacrificio, ma anche della condivisione, del mutuo soccorso. La corda che, come quella usata in parete, è l’emblema dell’alpinità.

Il mulo Iroso è la star dell'Adunata degli Alpini a Treviso


Ecco perché i conducenti del Reparto Salmerie la stanno cercando con tanto trasporto. Hanno già acquistato il cuscino rosso per portarla in sfilata, per esibirla, appunto, come una “reliquia”, laica, non religiosa, comunque di forte evocazione.

In testa ci sarà, dunque, questa testimonianza e dietro i quattro muli che, pur non essendo immatricolati, sono però iscritti come “amici degli alpini”. E poi loro, i veci e qualche “bocia”. Tra loro anche Antonio De Luca, ex alpino, impresario forestale, che nel 1993 si dissanguò per salvare dal macello non solo Iroso, ma altri 12 muli.

Brusca e striglia: i muli e gli alpini, un binomio indissolubile


La Brigata Cadore, a Belluno, aveva promosso una gara per disfarsene e dall’Alto Adige scesero in massa i macellai. «A Milano – anticipa De Luca – mi porterò appresso lo spartito ed il testo dell’inno al mio “generale”, composto dall’amico Claudio Prevedel, direttore artistico del coro Ana di Oderzo».

La prima di quel brano sarà la sera del 24 maggio, ad Anzano, sui primi colli del gruppo del Cansiglio, proprio là davanti alla stalla, pardon alla “casa di Iroso”. «General Iroso, uno come te/ forte e generoso, altro non ce n’è,/ sei rimasto il solo, l’ultimo del coro/dei giganti buoni, ragli canti e suoni», sono le prime parole del canto.

C’è chi, fra gli alpini, già si preoccupa. È lo stesso generale Genovese, componente del Consiglio nazionale, che ha accreditato il Reparto Salmerie. «Siamo commossi dell’affetto per l’ultimo mulo dell’esercito, ma stiamo attenti ad evitare forme di idolatria. Iroso è pur sempre un animale.

In questi cent’anni noi abbiamo messo al centro l’uomo, soprattutto l’uomo in sofferenza, come testimonia anche la capacità solidale – afferma – che di anno in anno pratichiamo, ancorchè tra mille difficoltà.

E la prima, quasi profetica forma di solidarietà da parte degli alpini dell’Ana, in tempi ancora non sospetti, è stata quella delle penne nere di Treviso che costruirono a Fontanelle una casa-comunità per tossicodipendenti, quando nessun altro li voleva fra i piedi».

La mini naia - spiega il presidente nazionale dell'Ana, Sebastiano Favero, trevigiano, la vogliamo proprio per questo: per continuare ad assicurare un servizio utile al Paese, non di tipo militare, anche se nello spirito solidale dell'esperienza di caserma. —


 

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