Guadagnino cuce la vita epica e i sogni di Ferragamo

Mostra del Cinema di Venezia: il documentario costruito con interviste, video, foto. Il regista: «È stato un fuoriclasse e un outsider»
06/09/2020 Venezia, 77 Mostra Internazionale d' Arte Cinematografica, photocall del film Salvatore – Shoemaker Of Dreams, nella foto Giovanna Gentile Ferragamo Presidente Fondazione Ferragamo, Luca Guadagnino il regista
06/09/2020 Venezia, 77 Mostra Internazionale d' Arte Cinematografica, photocall del film Salvatore – Shoemaker Of Dreams, nella foto Giovanna Gentile Ferragamo Presidente Fondazione Ferragamo, Luca Guadagnino il regista



Diceva che non esistono brutti piedi, esistono brutte scarpe; per questo ha passato la vita a studiare le ventisette ossa che ci sorreggono e al modo più ingegnoso per onorarle, anche a due spanne da terra. La storia di Salvatore Ferragamo, raccontata dal regista Luca Guadagnino nel documentario “Salvatore – Shoemaker of dreams”, in Mostra Fuori Concorso, è la storia di un’ossessione iniziata a cinque anni e, nonostante la medicina del successo, mai guarita.

Il film di Guadagnino, per l’undicesima volta al festival del Lido dove ha presentato anche il corto “Fiori, Fiori, Fiori! ” girato durante il lockdown, cuce a ritmo incalzante interviste, materiale d’archivio, foto, clip, testimonianze, video. Alterna la voce di Martin Scorsese alle considerazioni di Manolo Blahnik e Christian Louboutin, Giusi Ferrè e Maria Luisa Frisa; soprattutto entra nella villa di famiglia a Firenze, accende l’orgoglio dei nipoti, omaggia l’amatissima moglie Wanda, scomparsa due anni fa, che a 39 anni, vedova, con sei figli da tirare su, prese in mano l’azienda.

Il rischio spot, in un film che per due ore gira intorno alla visionarietà di Ferragamo, si smorza di fronte alla storia di una vita che sarebbe stata da film anche se Ferragamo avesse fatto il pizzaiolo. «Abbiamo impiegato tre anni per entrare nella camera delle meraviglie degli archivi e avvicinare due mondi, quello del cinema e quello della moda» spiega Guadagnino, insieme ai figli di Ferragamo, Leonardo e Giovanna. «Quando Hollywood nasceva lui era lì. Cucinava la pasta con Rodolfo Valentino, preparava i cocktail per i divi. È stato un fuoriclasse e un outsider».

Nato a Bonito, in provincia di Avellino, nel 1898, undicesimo di 14 fratelli, Ferragamo vuole subito fare il ciabattino e, a nove anni, in una notte, confeziona le scarpette per la Comunione delle sorelline. A 16 anni, da solo, è già sulla nave che lo porta in America dove non ha nemmeno i soldi per pagare il visto. E qui la fame, la smania, il genio (e un corso di anatomia del piede) fanno uscire dalle sue mani, dalla bocca piena di chiodi, le scarpe che conquistano il cinema. Prima sono gli stivali dai cowboy per le comparse, poi, via via, le calzature di pelle, di seta, di rafia, incrostate di pietre, con ogni tipo di zeppa, di slancio, di punta, il tacco fatto con i tappi del vino, a gabbia, il fiocco piatto, tutte sostenute da una lamina di metallo. Esaltano i piedi di Joan Crawford, Greta Garbo, Audrey Hepbrun, Gloria Swanson, Marylin Monroe, ma anche Anna Magnani, Sophia Loren.

Precursore della sostenibilità, come spiega la figlia Giovanna, negli anni dopo la guerra faceva scarpe con tutto quello che trovava: sughero, carta, cellophane, il filo di nylon dei pescatori, che originò il sandalo invisibile. In controtendenza ai cervelli in fuga, nel 1927 Ferragamo ritornò in Italia e si stabilì a Firenze, dove trovò gli artigiani che in America gli erano mancati. Aprì un laboratorio, depositò migliaia di brevetti, fallì. Per 3. 400 lire comprò Palazzo Spini Feroni. Gli mancava una famiglia. Trovò moglie nel paese natale; era Wanda, la figlia del sindaco la quale, essendo “sveltoccia”, si fece trovare già pronta sulle scale del municipio. Durò, senza ombre, fino al 1960, anno della morte dello stilista. —

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