I cent’anni di Amenduni il “re” delle acciaierie

VICENZA. Impossibile non ricordarlo, quando in una delle ultime apparizioni pubbliche, sullo schermo di una assemblea di Confindustria, parlando del suo modo di affrontare la crisi, citava Niccolò Machiavelli senza nominarlo. Era lì, in quelle assisi che bloccavano l’intero quartiere della Fiera di Vicenza, che Nicola Amenduni ricordava come sia necessario aspettare che il peggio passi, ma ricordando che il peggio arriva sempre e l’unico errore che si può commettere è farsi cogliere impreparati. “È comune defetto degli uomini, non fare conto, nella bonaccia, della tempesta”.
Nicola Amenduni, oggi, compie 100 anni. La sua è da sempre “La Famiglia” di Vicenza. Uno spartiacque, un confine, eri con gli Amenduni o eri con gli “altri” che negli anni hanno tentato di sfidarli, che fosse il terreno di Confindustria, che fosse quello della Banca Popolare di Vicenza, che fosse la Fiera. Ma se c’è un tratto che contraddistingue il capostipite di quella che viene considerata l’aristocrazia dell’acciaio italiano è la fermezza. La capacità che ha dimostrato nel tenere saldissimo questo nucleo, la moglie, i cinque figli e un grande gruppo industriale.
E poi l’inossidabile fermezza nelle situazioni. Anche le più complesse. Come dimostra il caso della Bpvi. A Vicenza gli Amenduni erano i primi azionisti della banca che aveva il suo dominus in Gianni Zonin. Nonostante l’1,4% del capitale nessun membro della famiglia è stato mai nel Cda dell’istituto. La rottura con Zonin è faccenda che risale a dieci anni fa, quando il banchiere vignaiolo negò ad un Amenduni un posto in cda.
Eppure mentre le azioni della banca colavano a picco, Nicola non ha usato la sua posizione e il suo potere per ottenere privilegi (altri lo hanno o lo avrebbero fatto). Mai avrebbe potuto sopportare di avere un trattamento diverso dall’ultimo degli azionisti scavalcati. La fierezza, l’orgoglio valgono più di tutto. E non solo, ma anche per questo, nei mesi della grande crisi della Bpvi, come di Veneto Banca, di cui era pure azionista, uno stuolo di manager e nuovi ad hanno chiesto udienza al “Grande Vecchio”.
Amenduni è uno straniero in terra vicentina. Figlio di Michele e Teodora, nasce a Bari il 4 aprile 1918. Suo padre è titolare della Michele Amenduni & C, una azienda fondata nel 1905, specializzata nella fonderia e nella fabbricazione di macchine per la raccolta delle olive e per la lavorazione dell’olio. Nicola entra per la prima volta in azienda all’età di 11 anni. Nel 1933, quando il padre in un viaggio di lavoro in Calabria contrae la malaria (morirà nel 1940), inizia a lavorare nella ditta, mentre frequenta la scuola. Dopo la guerra la ditta, che viene rinominata Amenduni Nicola Spa, trae beneficio dalla crescita dell’Italia del boom economico e si avvantaggia dei brevetti e delle invenzioni meccaniche di Nicola. Il 2 marzo del 1957 sposa Maria Gresele, appartenente alla famiglia di Vicenza proprietaria della Acciaierie Valbruna. Dal loro matrimonio nascono Michele, Ernesto, Massimo, Maurizio e Antonella, tutti impegnati nelle attività imprenditoriali della famiglia.
Ad ogni figlio è data una particolare area del gruppo di famiglia. Nei primi anni di matrimonio, Amenduni continua a dedicarsi alle attività imprenditoriali collegate alla meccanica. Dopo poco tempo, però, suo suocero Ernesto Gresele gli affida la conduzione della Acciaierie Valbruna. Fin dagli anni Sessanta, Amenduni sviluppa il business dell’acciaio inossidabile. Nel 2003 gli è stata attribuita dall’Università di Udine la laurea honoris causa in Ingegneria meccanica.
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova