I legami con la destra di Cinque e Carminati

L’incubo di Mafia Capitale entra nell’inchiesta veneziana «L’ho incontrato nel 1994, a Roma è molto famoso»
Di Sabrina Tomè

VENEZIA. Mafia Capitale è entrata nel processo Mose. Ci è entrata ieri, con il nome di Massimo Carminati, l’ex terrorista nero accusato di essere il boss del sodalizio criminale capitolino. A buttare lì il riferimento, al termine di una giornata impegnativa dedicata alle verità degli imputati, è stato il pm Stefano Ancilotto. Che, a conclusione dell’esame dell’imprendiore Erasmo Cinque, ex militante del Msi e poi di An, ex consigliere del ministro Altero Matteoli e imprenditore titolare della Socostramo, accusato di corruzione, ha quasi buttato lì la domanda: «Conosce Carminati?». Cosa c’entra Carminati col Mose, ha subito ribattuto la difesa rappresentata dall’avvocato Marco Vassalo. «C’è chi ha detto che avevano paura di Cinque come imprenditore», ha risposto il pm. Cinque non si è sottratto alla risposta: «Carminati è molto noto a Roma. Nel 1994, quando ero ancora presidente dei costruttori, mi trovavo in un ristorante e mi si avvicinò un signore con una benda su un occhio: mi propose di fare una donazione per una onlus che si dedica ai bimbi con problemi psichiatrici». Ci fu anche un altro incontro: «Passano gli anni e si mi presenta un giorno con un consigliere regionale del Pdl: mi chiese se mi ricordavo di lui, e come potevo dimenticarlo con quella benda sull’occhio? Voleva interloquire con Marchini». Al di là delle frequentazioni romane, la Procura contesta a Cinque il ruolo della sua azienda nei lavori di bonifica di Porto Marghera. Come è possibile che un’impresa a fronte di un investimento di 25mila euro riesca a fatturare per le opere di bonifica 48 milioni? Il pm Ancilotto lo ha chiesto ripetutamente e Cinque si è giustificato dicendo che i conti sono trasparenti e che l’utile al lordo delle tasse è frutto di un’operazione corretta. Come è possibile, ha incalzato il pm, che un’azienda con lo 0,006 di quote di partecipazione nel Consorzio Venezia Nuova, guidato all’epoca da Giovanni Mazzacurati, potesse entrare per delle bonifiche milionarie con capo-cordata la Mantovani (che nel Cvn era al 25%) lasciando fuori le altre imprese blasonate? E, ancora, com’era possibile che la Socostramo non si occupasse di bonifiche ambientali e che negli anni in cui le ha fatte, scaricando in realtà tutte le opere sulla Mantovani, avesse operai da microazienda? La risposta l’ha fatta intuire Ancilotto, ovvero i “buoni uffici politici”. Immediata la replica: «La politica ha sempre fatto parte della mia vita», ha detto l’imprenditore, «ma l’ho sempre tenuta separata dalla mia attività di imprenditore». Salvo poi far ammettere di aver telefonato all’allora ministro Matteoli per sapere se certe opere sarebbero state finanziate in una riunione del Comitatone per la salvaguardia di Venezia e quindi del Mose e delle opere ambientali. Cinque ha smentito di aver ricevuto soldi da Colombelli e Buson. Nella prossima udienza verrà sentito dalla difesa.

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