Il braccio teso non è un saluto: è una minaccia
Capisco che una squadra di calcio, come la Lazio, prima di ogni partita che conta, faccia volare nel cielo che sovrasta lo stadio un’aquila ammaestrata, che stende le sue ali maestose tra le nuvole e poi torna giù, ad appollaiarsi sulla mano del falconiere. Quel volo altissimo e solenne è un segno di potenza. Porta bene per la partita che sta per cominciare.
Ma quel che non capisco è il resto: perché il falconiere stende il braccio nel saluto fascista? Perché grida “duce, duce”? Il fascismo non ha perso sempre e dovunque, il duce non è un condottiero di sconfitte, il fascismo non è stato un periodo di aggressioni incaute e sprovvedute, di ritirate precipitose, di fughe a rotta di collo, invocare il duce non significa invocare la sconfitta, mostrarsi e dichiararsi fascista non significa umiliarsi e vergognarsi?
In Jugoslavia le abbiamo prese, in Grecia le abbiamo prese, in Africa le abbiamo prese, in Sicilia le abbiamo prese, per tutta l’Italia dal Sud al Nord man mano che le truppe alleate salivano noi retrocedevamo, alla fine della fine il duce scappava dentro un camion tedesco, vestito con un’uniforme tedesca, fingendo di non essere italiano, per salvare la pellaccia, che senso ha oggi gridare “duce, duce! ”?
Io questo falconiere della Lazio lo licenzierei in tronco, porta jella, è un morto che cammina. Vada nella squadra avversaria, non nella mia.
C’è nei fascisti un orgoglio di essere fascista, che non si giustifica in alcun modo. Non si giustifica oggi, ma non si giustificava neanche allora, ai tempi del duce. Francamente, e sia detto con tutta la delicatezza del caso, perché non voglio turbare i sentimenti famigliari, non si capisce nemmeno l’esaltazione (che è qualcosa di più del rispetto) che Alessandra Mussolini fa del nonno. Capisco che un nonno si ama sempre, è l’origine della tua stirpe. Se esisti, è merito suo. Ma se il tuo nonno ha fatto del male, e Benito ne ha fatto tanto, a tutti gli italiani, puoi esimerti dall’elogiarlo, almeno questo puoi farlo.
Quando noi italiani andiamo in giro per il mondo, e stiamo un po’ nell’ex Jugoslavia o in Grecia, e parliamo con i nostri coetanei nati e cresciuti là, la cosa più gentile che loro riescono a dirci sui nostri antenati fascisti che sono andati là a spadroneggiare e rubare, è: “Cambiamo discorso!”. È una “grazia” che ci fanno.
Stendere la mano nel saluto fascista vuol dire invece invocare quel tempo, volere che ritorni, esserne orgogliosi. Ma come si fa? No no, via questo falconiere della Lazio. Via chi si esalta della nostra vergogna. È un atteggiamento malato. Della nostra vergogna dobbiamo vergognarci. La vergogna è un sentimento sano. Purtroppo. E basta col braccio teso. A chi stende il braccio nel saluto fascista, facendoci vergognare di fronte al mondo, una solenne multa, immediata e salata. Così si calmano. Il saluto fascista non è l’espressione di un’opinione. È una minaccia. —© RIPRODUZIONE RISERVATA
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