Il cinema si fa portavoce di lotta di classe e diritti civili

Alla Mostra di Venezia un intreccio di storie che chiedono di ascoltare la Storia. Regina King: «Una lettera d’amore alla comunità nera»
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VENEZIA. Compagni e fratelli neri. Dittature di ieri e soprusi di oggi. La Mostra del Cinema di Venezia alza il sipario sulle lotte di classe e sui diritti civili, riesumando episodi del passato per dialogare con il presente. La lancetta del tempo corre indietro agli anni’60 su una linea del tempo che il festival ricama con quelle assonanze che solo il cinema sa coniugare con tanta metodica casualità.

Dall’1 giugno del 1962 al 25 febbraio del 1964, dal 27 dicembre del’68 fino a oggi: operai, afroamericani ma anche uomini di cultura o lavoratori diventano protagonisti di proteste e lotte o vittime di ingiustizie che infiammano lo schermo e saldano la Storia con l’attualità. A cominciare dal Concorso con il bianco e nero di “Cari Compagni” di Andrej Konchalovsky che evita di rispondere alle domande sulla Russia contemporanea per lasciar parlare le immagini del massacro degli operai russi della città di Novocerkassk che nel 1962 furono uccisi dal KGB mentre protestavano per l’aumento dei prezzi. La classe operaia è ancora lontana dal paradiso; sembra, anzi, un inferno in piena regola in cui i morti non possono nemmeno essere pianti.

Dietro le quinte dell’eccidio ci sono ancora le donne, come la protagonista Lyudmilla la cui fiducia nel Partito si dissolve a ogni proiettile che fende l’aria, alla disperata ricerca di una figlia scomparsa durante la sommossa.

E donna è anche la regista del film fuori concorso “One Night in Miami”, quella Regina King che, già nel nome, è endiadi di un potere femminile che incontra e amplifica le istanze dei neri americani. La notte del titolo è quella del 24 febbraio del’64 quando Cassius Clay divenne campione dei pesi massimi al Miami Beach Convention Center.

Allora le leggi razziali gli impedivano di festeggiare sull’isola: il pugile si ritroverà a discutere di diritti civili in una stanza dell’Hampton House Motel, in uno storico quartiere nero di Miami, insieme ad altre tre icone black: l’attivista Malcom X, la star del football Jim Brown e il cantante Sam Cooke.

Che, alla fine del film – dopo un acceso confronto sulle strategie di lotta (distruggere il sistema o cambiarlo dal suo interno? ) – intona l’inno del cambiamento, quel “A change is gonna come” che oggi, alla vigilia delle elezioni in America e le uccisioni di George Floyd e Breonna Taylor, suona come una preghiera laica e un manifesto politico per una profonda trasformazione della società.

«È come se il destino avesse programmato questo film» dice Regina King collegata via Zoom dagli Stati Uniti in compagnia del suo quartetto di attori (Kingsley Ben-Adir, Eli Goree, Aldis Hodge e Leslie Odom Jr) e dello sceneggiatore (e autore della pièce teatrale da cui il film è tratto) Kemp Power.

«Viviamo un momento esplosivo in cui il nostro film è chiamato a indicare la strada, che è quella del cambiamento e della trasformazione. Attraverso la storia di quattro icone raccontate in una parentesi privata che li umanizza e rende vulnerabili, abbiamo voluto scrivere una lettera d’amore alla comunità nera. È fondamentale il modo in cui questo film sarà accolto, perché potrebbe aprire la strada ad altre storie di neri, dirette da una donna».

Icone con un mirino sulla schiena, come fu per Malcom X ma anche per il cantautore brasiliano Caetano Veloso. I registi Renato Terra e Ricardo Calil lo intervistano nel film fuori concorso “Narciso em Ferias” in cui il cantante ricorda la sua prigionia sotto la dittatura militare del ’68 che lo aveva ingiustamente accusato di aver dileggiato l’inno nazionale. Una testimonianza lucida e commovente sulla brutalità arbitraria che caratterizzò quel periodo della storia brasiliana. Storia che sembra non imparare nulla da quelle lotte che il cinema si incarica di tradurre in immagini e di declinare in denuncia.

Così, anche altri due film italiani della giornata di ieri accendono il riflettore sui temi sociali e politici, pur con forme e registri diversi. Se in “Guerra e pace” la coppia di registi Martina Parenti e Massimo D’Anolfi rappresentano proprio la drammaturgia della guerra come strumento di memoria per una pace futura, i fratelli De Serio in “Spaccapietre” (Giornate degli Autori) portano sullo schermo il dramma del caporalato. Perché di lavoro si muore oggi come ieri. In Puglia come nella regione russa del Don, a colori o in bianco e nero. —

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