Il giorno delle sorelle sul pink carpet e il senso delle donne per il festival

VENEZIA. È l’affetto tra sorelle la grande forza delle donne del festival, la carezza che arriva dall’infanzia e che, in un modo o nell’altro, anche rubandosi il rossetto, accompagna fino alla fine. La regista Emma Dante, che ne ha messe insieme addirittura cinque nel film “Le sorelle Macaluso”, presentato ieri sera in Concorso, parla di “sorellanza” come di un legame ineludibile, che è già lì quando tutto deve ancora incominciare, capace di rendere le donne «guerriere che lottano insieme e arrivano a una conquista», anche se si fanno i dispetti per tutta la vita.
Qualcosa dovrà pure rappresentare un red carpet popolato solo da donne di ogni età, incluse due bambine con il loro vestitino rosa, al fianco di Donatella Finocchiaro. Le sorelle nelle tre fasi della vita del film alla fine sono dodici, quasi tutte attrici esordienti, e la loro passerella è una festa di colori e freschezza, sulle note di “Meravigliosa creatura” di Gianni Nannini, che fa presto dimenticare il bacio in bocca tra due signorine poco e mal vestite, piovute sul tappeto rosso per buttare un po’ di pepe.
Pink carpet, l’ha ribattezzato qualcuno, a futura memoria di un festival nel quale gli uomini, a questo punto, avrebbero qualche diritto nell’invocare le quote azzurre. Reali e virtuali, dai 17 anni di Greta ai 75 di Helen Mirren, davanti e dietro la macchina da presa, nei titoli in Concorso e nelle rassegne di nicchia, (spesso) infelici nei film, come se tanta abbondanza, tanta passione avesse il suo prezzo da pagare, le donne del Lido fanno mondo a sé. La loro autarchia, alla 77esima Mostra internazionale d’arte cinematografica, illumina volti giovanissimi e coperti di rughe, mescola generazioni, sublima sentimenti buoni e, insieme, fa soffrire di ogni pena possibile le protagoniste, occupando avamposti fino a ieri impensabili.
Otto film diretti da registe donne sui diciotto in Concorso, quattro giurate nella Giuria di Venezia 77, una presidente, Cate Blanchett, di cui ancora non si è deciso se sia più bella o più brava, due Leonesse alla carriera – l’attrice Tilda Swinton e la regista Ann Hui –, saldano debiti antichi al punto che, a tre giorni dalla fine del festival, resta ancora da individuare un possibile candidato per la Coppa Volpi maschile.
È alla madre – «che ha molto ballato» – che Elisabetta Sgarbi dedica “Extraliscio – Punk da balera”, presentato ieri alle Giornate degli Autori e seguito da una festa spontanea fuori dal Casinò mentre un aeroplano ara il cielo con la scritta del titolo del film. Elisabetta si commuove, dietro gli occhiali rossi, il vestito a foglie, la sciarpa gialla, così sottile, così felice che a pochi metri da lei, pur attaccato al cellulare, ci sia anche il fratello Vittorio. Lui, reduce dall’aver insultato il capo della sicurezza che gli aveva chiesto di indossare la mascherina per entrare in sala, della sorella dice: «Tra i vivi, Eli vuole bene solo a me, ma adorava sua madre, alla quale ogni domenica va a leggere i miei articoli in cimitero».
Ed è a un’altra madre, la sua, che Jasmine Trinca dedica il corto intitolato “BMM – Being My Mom”, oggi al festival, in un passaggio di affetto, ricordi, saperi, somiglianze, che quando non hanno a che fare con la morte, hanno a che fare con la vita. Rivive un lampo di Uma Thurman sul viso bellissimo della figlia Maya Hawke, che ha sfilato sul red carpet per il film “Manistream” (Orizzonti) di Gia Coppola, cinquantacinque anni in due.
Mai Mostra del cinema fu più munifica di donne e, insieme, crudele con le donne raccontate da altre donne, senza sconti per nessuna, ma, anzi ricacciate in dolori che non conoscono requie. Non c’è rivalsa, né ideologia, ma una traccia di dolente realtà che lega le tante storie di figure femminili del festival, sorelle Macaluso incluse, che hanno gli occhi rossi e il cuore spaccato.
Non ci sono Pretty Woman, bensì madri che perdono il figlio, come la protagonista di “Pieces of Woman” di Kornél Mundruczò (in Concorso) con la talentuosa Vanessa Kirby, interprete anche di “The World to Come” (in Concorso) di Mona Fastvold, dove vive invece il turbamento di un amore lesbo per dimenticare la malagrazia degli uomini.
Dev’essere quest’attitudine a patire con dignità che, invece della compassione, smuove un sano tifo di genere. Tutti (tutte) pregano che Tilda Swinton, nel mediometraggio di Pedro Almodóvar “The Human Voice”, si ribelli al fetente che l’ha lasciata senza nemmeno dirglielo a voce e di cui aspetta la telefonata. Tutti (tutte) soffrono con “Mrs Marx” di Susanna Nicchiarelli (in Concorso), biopic dedicata alla figlia di minore di Marx, Eleanor, la quale, nonostante la sublime intelligenza, si sottomette a un uomo al quale una sana di mente non affiderebbe il proprio cane.
È sempre una donna la protagonista di “Quo Vadis, Aida” (In Concorso) di Jasmila Zbanic (In Concorso), alle prese con un gioco di guerra tra uomini nella Srebrenica invasa dalle truppe serbe. È alla potente figura di Nilde Jotti che il regista Peter Marcias dedica il film “Nilde Iotti, il tempo delle donne” con Paola Cortellesi. Fino all’ultima in calendario, il premio Oscar Frances McDormand, protagonista di “Nomadland” – domani in Concorso – diretto dalla regista Chloé Zhao: storia di una donna alla ricerca di una vita (evidentemente) non convenzionale. —
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