In Veneto accelerazione del ritmo dei contagi superiore a quella nazionale: i casi gravi raddoppiano ogni undici giorni

PADOVA. I dati sui ricoverati in terapia intensiva sono i migliori a nostra disposizione per monitorare l’andamento del Covid-19 perché, a differenza del numero di positivi, non dipendono dal numero di tamponi, e, a differenza dei decessi, non dipendono dalle modalità di rilevazione delle cause di morte.
Come affermato anche dal virologo Giorgio Palù, è proprio ai ricoveri in rianimazione che bisogna guardare per comprendere come si sta evolvendo questa epidemia. Tuttavia – a differenza di quanto sembra far capire Palù in una recente intervista – sono proprio i ricoveri in rianimazione a mostrarci che le cose non stanno andando bene, né in Italia né in Veneto.
È vero che oggi i ricoverati in rianimazione per Covid-19 sono molti di meno rispetto al picco di fine marzo, quando superarono i 4.000 in Italia e i 350 nel Veneto. È vero anche che oggi in Veneto l’incidenza dei ricoverati Covid-19 in rianimazione sul totale della popolazione (1,5 per 100.000 abitanti) è inferiore rispetto alla Lombardia (2,4), al Piemonte (2,3), all’Emilia-Romagna (2,1), al Lazio (2,7), alla Campania (2,1), alla Sicilia (2,0) e alla media nazionale (2,1). Tuttavia, il faro va puntato non tanto sul numero attuale dei ricoverati, ma sulla rapidità della loro crescita.
Il tempo di raddoppio dei ricoverati Covid-19 in terapia intensiva, in Italia come nel Veneto, è oggi di 11-12 giorni. I ricoverati in terapia intensiva in Italia erano 586 il quindici ottobre, sono diventati 1.284 il ventisei ottobre; in Veneto erano 40 il quindici ottobre e sono diventati 76 il ventisei ottobre. Questo tempo di raddoppio in Italia è pressoché costante ormai da una decina di giorni, mentre in Veneto è purtroppo diminuito nel corso dell’ultima settimana, a indicare un’accelerazione del ritmo dei contagi superiore a quella nazionale.
Questi dati sono preoccupanti per due motivi.
In primo luogo, indicano la crescente pressione sugli ospedali e sulle terapie intensive: malgrado le terapie anti Covid-19 in questi mesi si siano molto affinate, evidentemente non riescono a evitare che molti pazienti, anche in età relativamente giovane, debbano essere intubati e debbano ricorrere a cure invasive garantite quasi esclusivamente dal ricovero in rianimazione.
Questo aspetto è particolarmente grave specialmente nel Lazio e nelle regioni del Mezzogiorno, quasi risparmiate dalla prima ondata dell’epidemia e meno attrezzate dal punto di vista ospedaliero, dove i ricoverati Covid-19 in terapia intensiva sono oggi numerosi come o più che a fine marzo.
E dove – al contrario di quando accadde allora – continuano ad aumentare. In secondo luogo, i ricoverati in rianimazione sono solo la punta dell’iceberg, perché la crescita dei ricoverati riflette la crescita dei contagi nei giorni precedenti.
Se questo ritmo di crescita non diminuirà, nel giro di un mese il numero di ricoverati in terapia intensiva, sia nel Veneto che in Italia, supererà abbondantemente quello di fine marzo.
Dobbiamo monitorare quel che accade nelle terapie intensive. Per farlo al meglio, sarebbe importante avere dati più raffinati di quelli messi a disposizione dalla Protezione Civile: come messo ben in luce dal professor Enrico Rettore su lavoce.info, oltre al numero dei ricoverati complessivi Covid-19 in rianimazione, dovremmo avere giornalmente anche il numero di nuovi ingressi. Questo dato permetterebbe di meglio comprendere in modo tempestivo se le draconiane limitazioni introdotto dal Dpcm di domenica venticinque ottobre sono state utili per far regredire la diffusione del virus.
*l'autore è Professore ordinario di Demografia presso il Dipartimento di scienze statistiche dell'Università degli Studi di Padova
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