«La morte, pretesto per parlare di vita»: Pasolini sorprende e commuove

Nella sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia, un film delicato e profondo destinato a diventare il “Leone del cuore” di questa edizione 

VENEZIA. «La morte è il pretesto per parlare della vita». Il regista Uberto Pasolini commenta il suo lavoro, lo splendido “Nowhere Special”: «È un film sulle relazioni e su come si pensa al futuro. Su come bisogna ugualmente mangiare, lavorare, stirare i vestiti anche quando si sa che tra cinque mesi non ci sarai più».

Dopo “Still life”, Pasolini porta sullo schermo la storia di John, un lavavetri trentacinquenne che dopo essere stato lasciato dalla moglie si trova a crescere da solo Michael, il figlio di quattro anni. Da subito si capisce che John sta cercando una famiglia alla quale affidare il bambino. Quando si scopre che l’uomo ha davanti a sé pochi mesi di vita, il film cambia passo.

La storia alterna due piani, la vita che si svolge dentro casa, che comincia con la colazione e termina con la storia della buonanotte, a quella fuori, un vita fatta di lavoro umile e di incontri con possibili famiglie affidatarie. Questo è un racconto, come dice Pasolini «girato a volume due»: se si ha la capacità e la sensibilità di sintonizzarsi su quella frequenza, viene quasi il bisogno di stringersi ai protagonisti e, se fosse possibile, ci si sposterebbe dalla propria poltrona per andare sotto lo schermo, per stare accanto a loro. «Sono convinto che se si tiene il volume basso, un po’ di pubblico lo si perde.

Ci sono spettatori che hanno bisogno di emozioni comunicate in maniera forte. Chi resta sarà obbligato a fare più attenzione, ma quello che voglio comunicare forse si posizionerà più sotto pelle».

Pasolini con questo film offre ancora una volta una lente d’ingrandimento attraverso la quale si possa capire qualcosa di più della vita. All’incontro con i giornalisti, oltre ad essere accompagnato da James Norton, ha portato con sé proprio la pagina del giornale sul quale ha trovato questa storia: «Padre malato terminale di cancro impegna i suoi ultimi mesi cercando una famiglia al figlio».

Per realizzare un film come questo tutto deve essere accordato. La storia non deve mai essere ricattatoria, non si deve cercare la facile emozione, gli attori devono essere in parte, le parole dette, credibili. Il rischio d’inciampare è sempre presente e quando, come in questo caso, tutto è perfettamente calibrato, ci si sente riconciliati con il cinema di narrazione. Quel cinema che racconta qualcosa e che riesce a restare addosso anche quando si esce dalla sala.

James Norton è un giovane attore versatile, sia che interpreti un principe russo (“Guerra e pace”) sia quando è un piccolo criminale di provincia come nella serie televisiva “Happy Valley”, e di lui si parla come di un futuro James Bond. «Ha degli occhi che ti parlano, caratteristica necessaria per questo personaggio che tiene tutto dentro, ma che ti deve far sentire quello che prova» dice il regista.

Per il piccolo Michael il ruolo è stato affidato a Daniel Lemont. Scelto tra 100 bambini, in fase di casting è stato il sesto a fare il provino e da quel momento in poi non c’è più stata gara. I genitori hanno letto la sceneggiatura, gli hanno spiegato la storia. Sia Pasolini che Norton sono rimasti stupiti dalla capacità di Daniel di entrare e uscire dal personaggio.

Quando la cinepresa si accendeva, Daniel sapeva che doveva essere Michael, quando si dava lo stop tornava ad essere Daniel. Al bambino è stato chiesto di non provare a casa le battute. Non doveva essere un lavoro. Per ottenere questa magica alchimia Pasolini ha scelto di prediligere un ritmo di quadro: spesso l’azione avviene dentro una sola scena. Pochi tagli, nessun trucco al montaggio, quello che succede doveva accadere in quel momento davanti gli occhi di tutti.

Se “Still life”, presentato nel 2013 sempre nella sezione Orizzonti, sorprese tutti per l’originalità della storia e per il tocco perfetto dato dal regista (che infatti vinse il premio per la regia), questa volta la sorpresa è data dal trovare “Nowhere Special” fuori dalla competizione per il Leone d’oro. In un anno in cui il Concorso poteva svincolarsi dal criterio dello scegliere per la competizione principale opere di autori con cast da red carpet, si sarebbe meritato una visibilità maggiore.

Alla prima, applausi scroscianti e commossi; nei cinema in autunno, da Lucky Red.

Resterà per molti il Leone del cuore —

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