Lorenzon, il testimone di Piazza Fontana: «Il mio racconto civile»

ARCADE (TREVISO) «Io ci sono, ora come allora. Ho visto cose, non ho taciuto. Certo che lo rifarei, non ho mai avuto alcun dubbio». Guido Lorenzon è - da cinquant’anni - «il testimone» di piazza Fontana, condannato da allora a rivivere ogni giorno del 1969, l’anno che ha cambiato la storia d’Italia aprendo la stagione delle stragi e della strategia della tensione. L’insegnante di Varago di Maserada denunciò l’amico Giovanni Ventura rivelando le sue confidenze, che inizialmente riteneva poco più di “ganassate”, sui preparativi della bomba e sulle esplosioni ai treni che precedettero quel terribile autunno.

La sua testimonianza è stato un imprevisto nel raffinato ingranaggio escogitato dalla Fabbrica di depistaggi, che aveva confezionato su misura l’abito del perfetto colpevole sul ballerino anarchico Pietro Valpreda. Tre giorni dopo la strage Guido Lorenzon, guardando in televisione la diretta dei funerali delle vittime, illuminò quei frammenti di racconto dell’amico e finalmente capì. E senza esitazione andò dai magistrati.
E si intitola «La bomba, a cinquant’anni da piazza Fontana» il racconto civile che descrive le vicende della strage alla Banca Nazionale dell’Agricoltura del 12 dicembre 1969. Scritto da Daniele Ferrazza con Guido Lorenzon, il reading verrà presentato per la prima volta nel municipio di Arcade, giovedì 10 ottobre alle ore 20,30, grazie alla collaborazione dell’assessorato alla cultura.
Nelle settimane successive sarà messo a disposizione di diverse scuole superiori del Veneto.
La bomba pensata a Roma, decisa a Padova, preparata a Treviso, caricata a Mestre ed esplosa a Milano grida ancora giustizia, mezzo secolo dopo. Per questo il testimone che per primo aprì la luce sulla «pista nera» ha deciso di realizzare - a quattro mani con chi scrive - un racconto civile destinato alle nuove generazioni.
«Coltivo il loro diritto alla verità» negata da reticenze, deviazioni e depistaggi perpetrati dagli apparati dello Stato. Un racconto civile a disposizione di scuole e associazioni, università e comitati civili, che debutterà il 10 ottobre ad Arcade. La bomba fu posata dagli aderenti veneti di Ordine Nuovo, un movimento neo fascista che, seminando il terrore e dirottando le responsabilità sugli anarchici, accarezzò con il sangue il sogno di un ritorno a un regime autoritario, con la complicità di molti pezzi di Stato.
«Un fatto è certo, un fatto concreto - riflette Guido Lorenzon, che oggi ha 78 anni – Il 12 dicembre 1969 a Milano una bomba ha assassinato 17 persone, ne ha ferite 88. Una bomba che era stata pensata, ovviamente; preparata, ovviamente; innescata, ovviamente; e portata fin lì, ovviamente, stroncando vite, affetti, sogni e progetti. I morti non avevano nessuna colpa, non appartenevano a una tifoseria, erano semplicemente dei cittadini, dei cittadini italiani. Non è una colpa essere cittadini italiani in Italia, a Milano, dieci giorni prima di Natale. Eppure, sono stati uccisi.
«Lo Stato purtroppo non ha punito nessuno per quella strage. Forse, si dirà, non è riuscito a sapere chi fosse stato. Non è andata così. Cinquant’anni di processi e di attività investigativa di giornalisti e storici hanno detto ai famigliari, ai feriti e agli italiani chi è stato. Si tratta di uomini che sono stati giudicati, ma assolti. Colpevoli e assolti. Lo Stato non li ha puniti perché questo era deciso ancor prima di far scoppiare la bomba della strage, ne sono convinto».
Guido Lorenzon a Treviso descrisse al giovanissimo magistrato Pietro Calogero le confidenze di Ventura. Il giudice istruttore Giancarlo Stiz si convinse: «Ascoltai Lorenzon e poi ascoltai Ventura. Mi resi conto che Lorenzon diceva la verità, Ventura il falso» raccontò. Fu Stiz, tre anni dopo la strage, a spiccare il primo mandato di cattura - inizialmente per le bombe sui treni - per Ventura e per Franco Freda, il procuratore legale padovano che due giorni prima della strage aveva comprato quattro borse in pelle alla Valigeria Al Duomo di Padova identiche a quelle usate a Milano. La giovane commessa Loretta Galeazzo in Beggiato lo riferì alla Polizia, ma l’appunto - seppur trasmesso a Milano - si perse nell’oceano dei depistaggi. Nella questura di Padova Pasquale Juliano, il commissario che da mesi intercettava Freda e che aveva intuito i piani di Ordine nuovo, fu trasferito lontano.
Pochi giorni dopo la strage i tasselli della pista nera potevano essere ricomposti alla perfezione. Lorenzon sarà osteggiato, denigrato, calunniato, minacciato di morte. Il terrorista neofascista Vincenzo Vincinguerra ebbe l’incarico di eliminarlo.
Ci sono voluti dieci processi, almeno quindici filoni di inchiesta, trentasei anni per arrivare non già alla condanna dei responsabili, ma alla sentenza della Cassazione del 2005, che riconosce negli Ordinovisti veneti gli esecutori della strage ma ammette che, essendo già stati giudicati, Freda e Ventura non hanno potuto essere più processati.
La pena di Lorenzon è il destino che da mezzo secolo lo inchioda alla testimonianza, ora non più nei tribunali di mezza Italia ma davanti ai giovani. «Da allora si sono succedute due generazioni senza giustizia – conclude Lorenzon – Ma i Millennials, i ventenni di oggi, hanno il diritto di sapere la verità e di essere orgogliosi della Patria, delle radici? Io dico sì: per loro, chi può deve raccontare e passare il testimone del racconto, per liberare almeno questa generazione da quel filo nero di grande bugia che ha intralciato il passo a noi. Sono stato testimone volontario. Io ci sono».
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