Mantovani in crisi, Cimolai la corteggia

PADOVA. Il gruppo Chiarotto manovra per spostare il baricentro all’estero, o quanto meno per potenziare le attività fuori dall’Italia. Il destino cinico e baro, mettiamola così, ha ristretto gli spazi dentro i confini nazionali, dopo il coinvolgimento della capogruppo Mantovani nello scandalo Mose. La botta è stata dolorosa, con un crollo del fatturato e il ricorso alla Cig. Anche se, paradossalmente, i lavori per le paratie mobili tengono impegnata l’azienda padovana più delle altre del Consorzio Venezia Nuova: il gruppo sarebbe in arretrato sulla quota assegnata, a dimostrazione che neanche nell’era Mazzacurati erano tutte rose e fiori. Ma non potrà tirare avanti all’infinito con il Consorzio Venezia Nuova, è vitale cercare un rilancio altrove. La strategia messa a punto da Serenissima Holding, sala di regia della famiglia, prevede una cessione di quote di Fip Industriale, una delle otto società del gruppo, alla Cimolai di Pordenone. Si tratterebbe solo del primo passaggio, cui in caso di accordo seguirebbe l’ingresso in forze dell’imprenditore friulano nella Mantovani.
La trattativa è riservata, se ne sa poco, ma quel poco è sufficiente per tracciare un quadro d’insieme.
Cimolai è un gruppo di carpenteria meccanica, già fornitore del Consorzio Venezia Nuova: negli stabilimenti di Monfalcone sono nate le paratie del Mose, per le quali la Fip di Selvazzano ha studiato e prodotto le famose, nonché discusse, cerniere. Il settore di lavoro è contiguo, la vicinanza non solo professionale. Ai bei tempi di Piergiorgio Baita presidente della Mantovani, Luigi Cimolai era con la dozzina di imprenditori che cercarono di convincere Berlusconi a candidare Galan e non Zaia alla presidenza del Veneto (19 ottobre 2009). Oggi la Cimolai lavora soprattutto all’estero e ha bisogno di un partner tecnologico per reggere la concorrenza di cinesi, indiani, coreani, turchi, con prodotti di qualità superiore. All’estero il gruppo Chiarotto, nel confronto, ha appena messo fuori il naso: ha qualche cantiere in Irlanda, in Giordania, in Tanzania. Avrebbe la tecnologia per competere ma è privo della parte commerciale. Insomma: complementarietà, cementata da vecchia conoscenza e acuita dal bisogno. Un’attrazione fatale.
Resta da sapere chi mangia chi. Impossibile avere risposte per il momento. Da parte dell’azienda si cerca di stemperare, sostenendo che la trattativa in corso sarebbe con più partner. Secondo indiscrezioni invece gli avvocati e i commercialisti dei due gruppi sarebbero al lavoro da un paio di mesi. Chiarotto si appoggia allo studio Cortellazzo-Soatto di Padova: «Quello che posso dire è che lavoriamo per mettere in sicurezza la Mantovani», dice Antonio Cortellazzo. «Siamo alla ricerca di lavori che consentano sbocchi nuovi all’estero, al riparo dai rischi del mercato interno, dei pagamenti ritardati dalla pubblica amministrazione e tutto il resto. Di più non posso dire, neanche sui tempi. Sono operazioni lontane da conclusioni veloci». Nella prima fase Cimolai entrerebbe in Fip Industriale rilevando il 50%della società. Una presenza alla pari, con l’obiettivo di quotarla in borsa. Sarebbe poi il mercato a stabilire quale dei due gruppi si assicurerebbe la maggioranza. Nella seconda fase Cimolai e Chiarotto si spartirebbero anche la Mantovani, con modalità ancora da individuare. Messa così, è difficile dire che Chiarotto non vende. Negano tutti invece i collegamenti con il Mose, che peraltro già esistono nelle forniture delle paratie. E che potrebbero continuare per l’eternità nelle operazioni di manutenzione ordinaria delle dighe mobili.
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