Obesità, ecco come curare il sovrappeso: i consigli del medico
Il professor Avogaro, presidente della Società italiana di diabetologia: «L’eccesso di grasso è in stretta connessione con il rischio oncologico»

Una sveglia che deve risuonare nelle coscienze, perché prevenire è meglio che curare, tanto più quando, a un certo punto, curare diventa difficile, se non impossibile. È questo il senso della giornata di domani, dedicata a livello mondiale all’obesità, ovvero alla sensibilizzazione nei confronti di una malattia che l’Organizzazione Mondiale della Sanità non ha mancato di definire «uno dei principali problemi di salute pubblica».
Lo sa bene il professor Angelo Avogaro, direttore dell’Uoc delle Malattie del Metabolismo dell’Azienda Ospedale Università di Padova, nonché presidente della Società italiana di diabetologia.
Professore parliamo di obesità. Quali sono i numeri?
«I numeri italiani sono abbastanza impressionanti: circa 23 milioni di italiani, quasi la metà, sono in sovrappeso e il 12% è obeso o molto obeso. Il Veneto rispetto alla media è messo abbastanza bene. Chi sta peggio sono Basilicata, Campania e Calabria, mentre Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige stanno meglio. Probabilmente questo è riconducibile a vari fattori come lo stile di vita, ma anche la qualità delle città e la loro camminabilità sono estremamente importanti. Oggi tutte le malattie croniche non trasmissibili come diabete, malattie cardiovascolari, obesità e tumori sono fortemente legate all’ambiente urbano».
Quando si passa da sovrappeso a obesi?
«Se l’indice di massa corporea è compreso tra il 25 e il 30 si è in sovrappeso, oltre si è obesi. Ma c’è una relazione a “U” tra indice e mortalità, poiché quest’ultima aumenta comunque quando il soggetto è troppo magro, probabilmente a causa di un’alimentazione non adeguata o perché la magrezza nasconde patologie sottostanti».
L’obesità è strettamente legata anche al diabete.
«Questo è un tema molto importante. È stato presentato un disegno di legge dell’onorevole Pella per la lotta all’obesità che è fulcro di patologie croniche quali diabete di tipo 2, ma anche neoplasie e malattie cardiovascolari. Le più importanti cause di rischio neoplastico hanno l’obesità ai primi posti e la glicemia elevata a digiuno al quinto posto. Quindi c’è una stretta connessione con il rischio oncologico».
Parlava della correlazione tra scarsa vivibilità delle città e obesità. La patologia è in aumento?
«Sì. Nel mondo ci sono 2 miliardi di persone in sovrappeso e 650 milioni di gravi obesi con una prevalenza legata alle aree urbane. Città del Messico ha 25 milioni di abitanti e un numero impressionante di persone sovrappeso, questo perché tutti si spostano in macchina perché la camminabilità è molto difficile. È chiaro che dove c’è la possibilità di fare attività all’aperto, l’incidenza dell’obesità diminuisce».
Il ministro Schillaci ha ipotizzato di inserire l’attività fisica nei Livelli essenziali di assistenza. Cosa ne pensa?
«Sono perfettamente d’accordo. Come noi scriviamo le ricette in fascia A così dovrebbe essere scritta la terapia alimentare e motoria. Credo che sia un punto di fondamentale importanza. Bisognerebbe dedicare almeno 150 i minuti a settimana all’attività motoria. La gente non sa che è molto più importante passare dalla totale sedentarietà a un po’ di movimento, piuttosto che fare una maratona. Dobbiamo trovare equilibrio e smuovere i sassi. Bisogna implementare l’educazione fisica, fin da giovani, cambiare mentalità».
Sta dicendo che c’è ancora resistenza all’attività fisica?
«Certo. L’uomo è un animale che si adatta a situazioni di convenienza. Oggi ordini da mangiare per telefono senza bisogno di muoverti: sono queste le aberrazioni. Con l’introduzione di 15 calorie al giorno in eccesso, si aumenta di un chilo in un anno: è sui piccoli numeri che si fa la grande crescita non sulla grande abbuffata».
Fanno male anche pochi kg in eccesso?
«I pochi kg fanno bene soprattutto agli anziani, dai 75 agli 80 anni, che non devono dimagrire. Ma la cosa ideale è mantenere il peso forma».
Si fa fatica a credere a questi numeri in una società che sembra votata all’apparenza. Dov’è il cortocircuito?
«Ci sono componenti biologiche e psicologiche. L’obesità è anche una malattia centrale, ad esempio può esserci un disordine da parte dell’ipotalamo che regola molto il senso della fame. Poi, però, c’è la ricerca del cibo come gratificazione, per cui c’è una componente psicologica che contribuisce moltissimo all’aumento del peso».
Il ministro Schillaci proponeva di inserire nelle pianificazioni regionali attività fisica e alimentazione. Come si concretizza un intervento del genere?
«Non è semplicissimo, ma quando nel Pnrr si parla di medicina di prossimità e case della salute bisognerebbe fare in modo che tra gli specialisti ci fossero i dietisti – perché bisogna imparare a mangiare – e persone che ti insegnano a muoverti in base alle tue caratteristiche fisiche. È fondamentale una figura dedicata allo stile di vita».
Sta parlando di un cambio culturale?
«Bisogna fare in modo che il cittadino percepisca che essere diabetico e sovrappeso presuppone non solo una prognosi e una qualità di vita ridotte, ma che queste alterazioni si portano dietro il rischio di malattie letali. Un soggetto obeso non ha solo il problema del dolore a piedi, colonna e ginocchia: il diabete dell’obeso aumenta il fattore di rischio di 13 neoplasie diverse e soprattutto la quella mammaria nella donna».
Perché c’è questa difficoltà a correlare la patologia grave con l’obesità?
«Perché nessuno crede di rientrare nelle statistiche. Purtroppo la percezione del pericolo avviene solo quando si verifica il problema. E molto spesso, a quel punto, è difficilmente risolvibile».
Quali sono i criteri per definire una vita sana e perdere peso?
«Va ridotta la quantità mantenendo la qualità. La restrizione calorica non è altro che tagliare del 30% l’apporto calorico mantenendo inalterato il rapporto tra carboidrati, grassi e proteine. I carboidrati sono essenziali ma devono essere a basso indice glicemico perché, tra le altre cose, l’insulina stimola molto la produzione di grasso».
Qual è il messaggio che deve passare nelle giornate di sensibilizzazione?
«Che dobbiamo mirare alla qualità del cibo più che alla quantità e mantenere una vita attiva dal punto di vista motorio, senza strafare. La moderazione è ciò che lega il piacere alla convenienza di uno stato di salute ottimale. Devo sapere che il sovrappeso comporta gravi problemi di salute. C’è uno spaventoso aumento di obesità tra gli adolescenti. Negli Stati Uniti il diabete dell’anziano è diventato più frequente di quello autoimmune. E gli adolescenti hanno il diabete come gli anziani e possono sviluppare le stesse complicanze».
I problemi sono il cibo spazzatura e la sedentarietà?
«Assolutamente, sono due elementi spaventosi. A partire dai cibi ricchi in zuccheri semplici e acidi grassi saturi, quindi calorici e che stimolano insulina producendo tessuto adiposo».
Sembra impossibile che ancora oggi ci siano genitori che non prestano attenzione al problema.
«C’è uno studio secondo cui solo il 50% delle persone obese riceve indicazioni dal medico. Spesso spieghiamo poco e male cosa significa perdere peso. Un kg sono circa 7 mila calorie: se non spieghiamo cosa significa togliere 7 mila calorie, le persone non capiscono cosa significa perdere peso. L’altro problema è il paziente che digiuna: le diete povere di carboidrati non solo fanno malissimo, ma poi il peso si recupera molto rapidamente. Per essere efficace il dimagrimento deve essere lento».
La prima forma di prevenzione spetterebbe quindi al territorio?
«Ci dovrebbe essere contributo di tutti: famiglia, medici di medicina generale, scuola. Un esempio: una bimba obesa avrà più possibilità di sviluppare diabete gestazionale e suo figlio in età adulta avrà 6 volte tanto il rischio di avere un infarto, ma la gente non sa queste cose. La verità è che purtroppo Sistema sanitario nazionale e regionale non premiano la prevenzione. Bisognerebbe capovolgere il paradigma e dire: facendoti dimagrire quanto diabete, obesità e malattie cardiovascolari ho prevenuto? E bisognerebbe investire».
Investire non porterebbe un risparmio al sistema?
«Su tutto, pensiamo a un obeso iperteso che fa un ictus: oltre ad avere la vita segnata per sempre ci sono una serie di costi indiretti enormi, dall’assenza dal lavoro dei familiari alla badante».
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