Quando D’Alema definiva la Lega «costola della sinistra»

Giorni addietro sui media si è scatenata una polemica “feroce” tra Matteo Salvini, segretario della Lega, e gli esponenti di partiti che rivendicano l’essere di sinistra. Le polveri si sono accese a seguito dell’insediarsi di alcuni uffici della Lega in via Delle Botteghe Oscure, la strada nella quale per molto tempo vi era la sede centrale del PCI. Se non vado errato, ciò che ha indignato vari esponenti di partiti di sinistra è stata l’affermazione di Salvini secondo cui la Lega potrebbe rappresentare l’erede del PCI di Berlinguer. Certo, quella di Salvini è una affermazione “forte”, alquanto provocatoria, ma gli “indignati” non dovrebbero dimenticare che a parlare, per la prima volta, della Lega come “costola della sinistra” è stato un esponente di spicco dello stesso PCI, e cioè Massimo D’Alema.

Più precisamente il numero dell’1 novembre 1995 del quotidiano La Repubblica, riportava delle frasi che D’Alema aveva pronunciato in “Un conclave per la sinistra”. Tra le varie cose, D’Alema disse: «…La Lega c’entra moltissimo con la sinistra, non è una bestemmia. Tra la Lega e la sinistra c’è una forte contiguità sociale. Il maggior partito operaio del Nord è la Lega, piaccia o non piaccia. È una nostra costola, è stato il sintomo più evidente e robusto della crisi del nostro sistema politico e si esprime attraverso un anti-statalismo democratico e anche antifascista che non ha nulla da vedere con un blocco organico di destra».

Queste considerazioni di D’Alema anticipano considerazioni che 20 anni dopo sono state espresse da vari osservatori e studiosi che hanno vissuto con insofferenza la metamorfosi di una sinistra animata da un radicale liberoscambismo unito ad un altrettanto radicale mondialismo.

Con ciò, una certa sinistra ha finito per enfatizzare il ruolo di processi economici e sociali che mettevano ai margini i proletariati nazionali, mentre crescevano le differenze sociali nei paesi europei e negli Usa.

L’impoverimento del ceto medio, la sotto-proletarizzazione dei proletariati, in Europa e negli Usa, hanno dovuto fare i conti con gli effetti di una globalizzazione che si accompagnava a crescenti ondate immigratorie nei paesi economicamente più avanzati, esposti alla concorrenza di nuovi competitors. Si è trattato di problemi ai quali la sinistra avrebbe dovuto dare risposte concrete, ma non l’ha fatto lasciando spazi crescenti ad altre forze e cioè a quelle che si ispirano al cosiddetto “sovranismo”, naturale avversario della globalizzazione, soprattutto finanziaria. In Europa la questione è ancora più ingarbugliata perché il nostro continente sta vivendo un processo di integrazione economica che nulla ha a che vedere con l’europeismo DOC, e cioè il federalismo, in quanto si assume che l’europeismo consista nell’assegnare poteri via via crescenti ad organismi tecnocratici, politicamente non responsabili. Nel frattempo il fuoco cova sotto le ceneri.—

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