Rapine per finanziare il boss Galatolo

VENEZIA. Giocava e perdeva. Anzi, giocava molto e perdeva molto nelle sale di scommesse, Vito Galatolo, boss mafioso di prima grandezza “al confino” nel comune di Venezia, un lavoro al Tronchetto nelle imprese di Otello Vianello (con indagini tuttora in corso sui possibili interessi della mafia sul mercato del trasporto turistico) e con 80 mila euro di debiti di gioco.
Vizio del gioco e rapine.
Erano 57 mila gli euro di debito che il boss aveva con l’Aladin Bet 2 di Mestre e altri 24 mila con la Match point. Soldi che Galatolo intendeva procurarsi a suon di rapine. Due colpi la cui preparazione è stata, però, seguita passo passo dai carabinieri del Ros di Padova - coordinati dalla Direzione antimafia di Venezia - e che ha portato ieri a 5 provvedimenti cautelari: tre in carcere, uno ai domiciliari e un obbligo di firma, con perquisizioni e volo di elicottero dell’Arma per ore sulla città. Su Galatolo gli investigatori avevano acceso i riflettori sin dal suo arrivo a Mestre - il padre Vincenzo condannato all’ergastolo per l’omicidio del generale Dalla Chiesa - quando ancora non si sapeva (come avrebbero poi rivelato le indagini) che fosse uno dei componenti della Cupola, capo mandamento dell’Acquasanta di Palermo. Arrestato un anno fa, oggi è collaboratore di giustizia.
Le indagini.
Microspie, telecamere, intercettazioni telefoniche hanno così seguito il boss nel tempo e ne hanno raccontato anche il vizio per il gioco e le due rapine che aveva organizzato per farvi fronte. Un’indagine che ieri ha fatto scattare i nuovi provvedimenti di custodia cautelare a carico suo e dei due compari più fidati Maurizio Caponetto (40 anni, residente a Mestre) e Antonino Salerno, “Nino”, 30 anni. Provvedimenti notificati in carcere dove i tre si trovano da tempo. Un gruppo di amici palermitani molto pericolosi, ma anche in alcune circostanze - come si vedrà - un po’ cialtroni. Arresti domiciliari, invece, per “Peppe” o “Pino” Giuseppe Bartolo e obbligo di firma per “Vicè” Vincenzo Duro.
Due i colpi contestati.
La rapina tentata. Il primo colpo doveva essere messo a segno il 15 giugno del 2014 ai danni della stessa sala scommesse Aladin Bet 2. Tutto era pronto: il piano, l’auto per la fuga, una pistola Smith e Wesson per minacciare gli impiegati, provata tra i capanni abbandonati di un locale in via della Crusca. Erano sicuri fosse un colpo semplice: come un “Lecca, lecca”! aveva detto Caponetto a Galatolo.
Ma la banda non aveva fatto i conti con un semplice, banale particolare: la chiusura delle porte dell’agenzia. Nelle fasi preparatorie sono coinvolti Galatolo (che tutto ordina e coordina), Caponetto, Salerno, altri due indagati (Salvatore Girgenti e Carmelo Signorelli, residenti a Spinea). Proprio all’ultimo, però, “Pino” Bartolo si era tirato indietro dimostrando di non aver poi gran timore di Galatolo, che infuriato lo insulta come “sbirro e senza dignità”. Così a fare il colpo erano andati solo Caponetto e Salerno, volto travisato e armati di coltello, che contavano sulla complicità interna di Kendra Degli Angeli (indagata): il sistema di video sorveglianza dell’agenzia li riprende mentre tentano in ogni modo di entrare, inutilmente. Porte chiuse, invece, dall’interno dalla donna che avrebbe dovuto aiutarli. “Minchia lei chiude la porta...mi vede e se ne va dentro nell’ufficio...arrivo là davanti e la porta me la chiude....stava fumando”, racconta Caponetto. Tanto che il gip nega la misura cautelare nei confronti della donna, ritenendo gli indizia a suo carico non sufficienti a definirne il ruolo.
La rapina riuscita.
È quella brutale messa a segno il 16 giugno ai danni della ditta Laser di Laura Fighjera & Co, a Ponzano Veneto - concessionaria della ditta Tupperware - con pistola puntata alla testa alla titolare e a un’impiegata, costrette a terra. Il gruppo scappa con 13 mila euro in contanti e 2700 euro in assegni. Un colpo organizzato con sopralluoghi, la ricerca delle telecamere da evitare lungo il percorso, le armi, cene preparatorie a casa Gavitolo (dove l’uomo viveva con la famiglia): indagato per questo anche Giuseppe Scelzo. Anche qui, però, qualche clamorosa leggerezza, come quella di pensare di rubare l’auto per il colpo dal parcheggio dell’asilo nido comunale Mille Colori di Mestre, convinti che i genitori “arrivano, lasciano le chiavi appese, prendono i bambini e se li scordano le chiavi nella macchina”: ma così non è e devono chiedere l’auto a un conoscente. Rapina violenta, ma finita poco dopo tra “le braccia” dei carabinieri, ad un posto di blocco.
Ordinanza e interrogatori.
La procura Antimafia aveva chiesto l’arresto per associazione a delinquere finalizzata alla commissione per rapine per 10 persone. Per il gip Comez - invece - si sarebbe trattato di colpi specificamente organizzati per saldare i conti di Galatolo per il suo vizio. Così ha ridotto le misure e le accuse. Nei prossimi giorni gli interrogatori di garanzia, alla presenza dell’avvocato Mauro Serpico.
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