Riapre il Castello Carrarese, assalto al tesoro dimenticato

Oltre duemila persone in visita al complesso simbolo di Padova capitale d’Europa
L’invito al Castello, restaurato nelle coperture, un ettaro di tetti o giù di lì, splendente di affreschi appena scoperti sotto lo scialbo steso dai veneziani come un sudario a nascondere ogni memoria carrarese, stupefacente con lo spazio recuperato abbattendo i divisori delle officine di Rizzato, 80 metri di galleria, muscolosa come un cultore di body building, con un bosco di massicce travi, è stato accolto dalla città come se fosse stato inviato dai signori di Padova, i principi del Carro Rosso: noblesse oblige, non ci si poteva sottrarre.


Malgrado la pioggia che pungeva come un porcospino, dalle 10 alle 13, sono entrati 40 gruppi di 25 persone ciascuno, un migliaio, insomma, nella mattinata che sono diventati 2000-2500 alle 17 quando i battenti del portone sono stati chiusi, senza sollevare il ponte levatoio perché non c’è più. Quest’interesse è spiegabile: il Castello è un libro sulle cui pagine si può leggere che cosa è stata questa città tra il tredicesimo e il quattordicesimo secolo. Padova carrarese è stata capitale d’Europa per arte, scienza e anche un polo strategico di tutto rispetto. Come spiega Andrea Colasio, l’ex deputato che si è speso perché il Castello ritornasse nella competenza dei Beni culturali e quindi fosse riassegnato al patrimonio cittadino: il dominio carrarese si stendeva da Belluno a Rovigo.


L’erbario dei signori da Carrara, conservato al British Museum, spettacolare per il cesello dei disegni è scritto in un pavano colto che era la lingua del dominio. Lingua propria, moneta propria, alleanze importanti come quella con Ludovico re d’Ungheria; quando nei primi anni del quattrocento Venezia conquista la nostra città massacra ogni simbolo del vecchio potere. Il Castello cade nell’oblio, cancellato da un’operazione di «damnatio memoriae» concertata con abilità dall’oligarchia lagunare. Con gli austriaci il Castello diventa carcere, con gli italiani resta tale con una gestione penitenziaria «illuminata» grazie al lavoro offerto ai detenuti dalla Rizzato dell’Atala e del Califfo. Ma ciò che ha spinto ieri molti cittadini alla visita, oltre 600 avevano partecipato al convegno in Sala della Ragione, è stata la curiosità.


Chi mai aveva visto il Castello? A parte gli specialisti, i più colti e sensibili avevano letto un po’ di storia nei libri. Per i padovani di mezza età l’immagine del Castello è ancora legata alla destinazione carceraria, per i più giovani è una piazza alberata a ridosso di vecchie mura. Ma ieri di giovani ce n’erano parecchi, studenti soprattutto, donne e ragazze soprattutto. A far da guida c’erano gli operatori del Fai e del Comitato Mura, studiosi preparati come Vittorio Dal Piaz e l’architetto Adriano Verdi. Ogni giro durava poco più di mezz’ora anche perché la presenza del cantiere e di una ciclopica gru in mezzo al piazzale, parte dei tetti ancora in fase di manutenzione, non permetteva l’accesso in tutti gli angoli dello sterminato palazzo.


«Ci sono da impiegare - dice Colasio - altri 2 milioni e 700 mila euro assegnati dalla finanziaria. I soldi stanziati finora ammontano a circa 10 milioni di euro. Il contributo della Fondazione Cariparo per i rilievi archeologici è stato di 300 mila euro. La Fondazione, volendo, potrebbe anche mettere sul tavolo i 15 milioni di euro necessari a far rivivere il Castello. I tempi? Un paio d’anni, tre al massimo, poi c’è spazio per mostre di spessore internazionale. Nel 2010 è in programma una grande vetrina sul Guariento, quale sede più affascinante di questa?». Sarebbe opportuno che il palazzo che ha già lo spirito e la vivezza del Rinascimento fosse unificato, occorre una gestione che lo abbracci tutto, che unifichi l’area carrarese dell’ex carcere con la Torlonga (Specola), fortificazione ezzeliniana a scacchi bianchi e rossi, formidabile mastio.


Nell’area c’è una porta d’acqua medievale e una Zilia (si trova in biblioteca) la macchina di sterminio del tiranno, sorta di imbuto in cui si precipitavano gli oppositori che si spaccavano le gambe e morivano di fame. Il Castello è stratificato. C’è una parte sotterranea ancora da eplorare, ci sono le celle di isolamento ottocentesche con una sorta di giornale murale scritto a carboncino, e le prigioni trecentesche con porte di legno, ma spesse 20 centimetri, le sale degli armigeri. Per vedere tutto ci vorrebbe un giorno intero. Si sta decidendo un calendario di apertura del Castello, sarà ufficializzato quando il cantiere esporrà la ganzega di fine lavori.

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