Savina: la mafia obbligò la banda Maniero ad occuparsi del traffico di droga

Il vice capo della Polizia di Stato torna a Mestre e racconta gli inizi alla sezione Omicidi, la liberazione del generale Dozier e la cattura del mafioso Giovanni Brusca
FERRO - CS DEL QUESTORE - LUIGI SAVINA FERRO - CS DEL QUESTORE
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VENEZIA. Luigi Savina è un poliziotto che quarant’anni fa, da giovane Commissario, ha iniziato a fare il mestiere a Venezia. Ora va in pensione da Vice Capo della Polizia e ha scelto di celebrare l’ultima Festa della Polizia da effettivo a Venezia, dove tutto ebbe inizio.

La sua sembra la storia di un poliziotto dove l’assegnazione del luogo di lavoro e i tempi della vita sono dettati dal termine “emergenze”. Appartiene a quella categoria di investigatori che i vertici hanno impiegato per gestire situazioni emergenziali in giro per l’Italia. Da nord a sud.

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«Sono arrivato a Venezia nell’80. Assegnato alla sezione Omicidi della Mobile. In quel periodo da una parte ci sono le BR che uccidono poliziotti e dirigenti di azienda e dall’altra c’è la banda Maniero che si stava strutturando in cosca mafiosa. Un periodo di emergenza tanto che, dopo l’assassinio del collega Alfredo Albanese, i vertici della Polizia inviano a Venezia sette funzionari. Sono gli anni dei grandi ispettori, vecchi poliziotti che mi hanno insegnato il mestiere. Si esce dall’Università, si fa il corso, ma non sei certo addestrato a parlare con i delinquenti. Stare ore e ore davanti a un delinquente per farlo parlare, lo impari lavorando con veri investigatori come quelli che ho incontrato a Venezia».

Malavita comune e terroristi. Non era certo facile districarsi in questo intreccio criminale?

«Non lo era. Anche perché, ad esempio, le rapine le facevano quelli della banda Maniero, i giostrai, ma anche Prima Linea. I comuni, a parte qualche trasfertista napoletano, parlavano in dialetto mentre quando c’era una donna nel commando eri certo che si trattasse di terroristi. Ricordo una rapina in piazzetta dei Leoncini commessa da Prima Linea. C’era appunto una donna nel gruppo. Qualche tempo dopo risalimmo all’appartamento che avevano usato come appoggio dove, all’interno, c’erano ancora le etichette dei gioielli».

Anni in cui anche i poliziotti a Venezia temevano per la propria vita. Avevate paura?

«La giusta paura che ti mantiene attento su ogni piccolo particolare. La prima cosa che facevi quando dovevi uscire era quella di controllare dalla finestra di casa se c’erano persone sospette nei paraggi. Di solito il palo del gruppo di fuoco si appostava nei pressi dell’abitazione per segnalare l’arrivo della persona a cui sparare. Prima di partire chiamavi in ufficio e li informavi del tuo arrivo. Poi quando uscivi avevi sempre il colpo della pistola in canna. In un covo delle BR abbiamo trovato una lista di nomi di poliziotti, tra cui quelli di Arnaldo La Barbera e di Luigi D’Aquino. Due grandi della polizia. Quel periodo in Veneto è finito con la liberazione a Padova del generale Dozier, rapito dalle BR venete».

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Periodo in cui imperversa Maniero. Quando questo impara a fare il mafioso?

«Il salto di qualità lo fa quando viene a contatto con i fratelli Fidanzati. Ci sono alcuni delitti e la cacciata dei cambisti che determinano il salto di qualità di Maniero. Da quel momento i mafiosi obbligano Maniero a trattare quintali di eroina da smerciare a Nordest. In quel periodo facciamo la prima relazione dove ipotizziamo per Maniero e i suoi sodali l’associazione di stampo mafioso. E questo a pochi anni dall’entrata in vigore dell’articolo 416 bis».

Poi per Luigi Savina inizia il periodo delle emergenze in giro per l’Italia. Una prima volta alla Mobile di Palermo, dove in un anno c’erano stati 100 omicidi, poi Pescara. Quindi lo Sco della Polizia e il gruppo sulle stragi Falcone Borsellino e ancora la Mobile di Palermo. E qui le operazioni che lo rendono famoso in tutto il mondo, ad iniziare dall’arresto di Giovanni Brusca, il vice di Toto Riina.

«Dopo la sua cattura quando decide di pentirsi attraverso il carcere ci informa che vuole parlare con me e con il capo della Catturandi Claudio Sanfilippo - ricorda Savina -. Siamo entrati all’Ucciardone di notte vestiti da operai. E quando mi sono seduto davanti a lui per raccogliere la sua testimonianza è stato fondamentale quanto avevo imparato a Venezia. Quanto mi avevano insegnato i vari Polo, Tassoni, Sganga e altri poliziotti. Quelli che mi avevano insegnato il mestiere».

Quindi l’Albania, successivamente diventa Questore a Padova, Cagliari e Milano dove gestisce la sicurezza per l’Expo del 2015. Diventato vice capo della polizia si occupa ancora di sicurezza. Oggi ritorna dove tutto è iniziato. —

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