Soldi in Svizzera, multa a Venuti e Penso

I commercialisti patteggiano una sanzione di 48 mila euro, l’inchiesta porta la firma del pm veneziano Stefano Ancilotto

VENEZIA. Gli intermediari finanziari svizzeri Filippo Manfré di San Martino di San Gemano D’Agliè e Bruno De Boccard erano accusati di essere i gestori del vorticoso giro di centinaia di milioni di guadagni in nero di grossi imprenditori veneti, che negli anni hanno preso la via dei forzieri elvetici: ben 250 i milioni contati dalla Guardia di finanza e contestati dal procuratore aggiunto della Procura di Venezia Stefano Ancilotto, al termine dell’indagine che ha visto finire sotto i riflettori lo studio padovano PVP di Paolo Venuti e dei soci Guido e Christian Penso. Secondo l’accusa, sarebbero stati i commercialisti padovani il tramite tra gli imprenditori in cerca di ripulire con investimenti all’estero i proventi non denunciati al Fisco e i due finanzieri elvetici.

E proprio questi ultimi - accusati dalla Procura di esercizio abusivo dell’attività finanziaria e gestione illecita di investimenti - sono stati i primi a chiudere i loro conti con la giustizia italiana, patteggiando ieri 6 mesi di reclusione e 1800 euro, convertiti in una multa complessiva di 46.800 euro a testa. Pena sospesa. Accordo trovato tra il procuratore aggiunto Ancilotto e l’avvocato difensore Pinelli, con l’approvazione del giudice per le udienze preliminari Battistuzzi. In corso d’indagine i due finanzieri avevano negato di essere a conoscenza della provenienza illecita del danaro: milioni non fatturati che prendevano la via della Svizzera grazie a “spalloni” con le borse piene di banconote, per essere investiti e, infine, tornare in Italia usufruendo degli scudi fiscali concessi dai diversi governi. Ma per l’accusa il patteggiamento è un paletto a supporto dell’inchiesta, nata come costola di quella sulle tangenti del Mose, seguendo le tracce del “tesoretto” di un milione e mezzo di euro che secondo gli investigatori, l’ex governatore veneto Giancarlo Galan aveva nascosto in Croazia, con l’aiuto dell’amico commercialista Venuti. Ne è nata un’inchiesta che ha messo in luce i guadagni neri di importanti imprenditori veneti.

Ad ammettere per primo pubblicamente di aver portato oltre il confine elvetico 37 milioni tramite lo studio Pvp era stato l’imprenditore padovano delle calzature Damiano Pipinato, che ha raccontato di aver consegnato i soldi allo studio padovano «in una scatola di cartone che Guido Penso era solito riporre in un armadio, senza neppure aprirla». Soldi poi regolarmente “scudati” con i vari condoni. Venuti, la moglie Alessandra Farina e Penso, padre e figlio, sono stati indagati dai magistrati veneziani per riciclaggio internazionale.

L’inchiesta è ancora aperta, dopo il passaggio nelle mani della Procura di Padova, competente per territorio: nel tempo, i difensori dei commercialisti si sono detti certi di arrivare a un ridimensionamento delle contestazioni. Come primo atto, a giugno il Tribunale del Riesame di Padova ha quasi azzerato, tagliandolo per oltre il 90 per cento, l’ammontare del sequestro preventivo su immobili e conti correnti dei commercialisti padovani Guido e Christian Penso, e del socio Paolo Venuti.

Un sequestro disposto dal Tribunale di Venezia su richiesta del pm Ancilotto e finito quasi in briciole: da 11.282.178 euro è stato ridotto a 763.742 euro e poco altro. —

Roberta De Rossi

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