Svizzera, Caraibi, Dubai: il metodo Penso-Venuti sul riciclaggio

Padova, attraverso fiduciarie elvetiche facevano uscire i soldi, mentre il denaro rientrava attraverso investimenti immobiliari
MARIAN - AGENZIA BIANCHI - PADOVA - STUDIO PENSO
MARIAN - AGENZIA BIANCHI - PADOVA - STUDIO PENSO

VENEZIA. Il quadro generale è quello di «un disegno criminoso», reiterato in maniera sistematica. Le modalità utilizzate sono «sofisticati strumenti di investimento». Il fine è nascondere il nero, investirlo all’estero e riportarlo nel mercato immobiliare come se fosse pulito.

Erano questi i mezzi e gli scopi dei commercialisti padovani dello Studio Penso & Associati o PVP (padre Guido e figlio Christian Penso e il collega Paolo Venuti) e di quello svizzero di operatori finanziari formato da Bruno De Boccard e da Filippo Manfredi San Martino di San Germano d’Agliè.

Ecco come abbiamo trovato il tesoretto di Giancarlo Galan

Come, quando e perché è stato spiegato dal comandante Gianluca Campana del Nucleo Polizia Tributaria di Venezia che ha coordinato le indagini su richiesta del pm Stefano Ancilotto. «Sapevamo che il milione e mezzo di Galan era il prezzo della corruzione» ha detto raccontando l’origine degli accertamenti finanziari «Dovevamo ricostruire il tracciato».

Le indagini cominciano quindi approfondendo la pista Mose, ma si concludono con una lista di quindici imprenditori che in passato si sarebbero appoggiati allo studio svizzero per investire il nero evaso. In passato perché nella cosiddetta lista De Boccard tutti gli imprenditori citati hanno fruito di condoni o sanatorie, come lo scudo fiscale o la voluntary disclosure (collaborazione volontaria, ndr) che non li rendono più perseguibili. Se però il presupposto reato non era più procedibile, lo era il riciclaggio, come dimostra l’accusa che incombe sugli indagati che hanno elaborato il complesso sistema di evasione.

Soldi riciclati all'estero: tutti gli imprenditori veneti affiorati dall'inchiesta

Le indagini hanno svelato che lo studio padovano si occupava di gestire parte del capitale degli imprenditori veneti in modo particolare. Secondo che la Guardia di Finanza, la somma che Penso e Venuti prendevano dagli imprenditori e trasferivano in Svizzera, era «in genere frutto di ingente evasione fiscale».

Una volta arrivata in Svizzera, i due operatori finanziari, accusati inoltre di esercizio abusivo della loro attività, si occupavano di farli transitare su conti esteri, intestati a società olandesi (come l’Aureum o Brookhimes), rumene, svizzere di Panama, Curacao e delle Bahamas, e una, la Sorenson, aperta tramite lo studio Mossak & Fonseca, emerso nell’ambito dei cosiddetti Panama Papers.

Damiano Pipinato, l'imprenditore padovano con 40 milioni di nero

Non finiva qui. I due svizzeri gestivano un ammontare di circa 250 milioni, ma si pensa che la cifra complessiva sia stata di gran lunga superiore. Una volta investtito il nero, proventi guadagnati tornavano in Italia dove venivano investiti nel settore immobiliare o all’estero negli Emirati Arabi attraverso Franco Casale Romei.

Il sistema era collaudato e funzionava perfettamente. Lo studio padovano si occupava di gestire i conti in Italia, ma per una parte offriva quindi un servizio in più che all’epoca, venne sfruttato.
Il nero faceva un viaggio circolare: partiva come evasione dall’Italia, attraversava i confini di nascosto sfruttando i conti correnti esteri dello Studio Penso e Venuti. Qui veniva trasferiti nei paradisi fiscali per ritornare alla luce in Italia o a Dubai ed entrare nel mercato come se fosse nuovo e pulito.
Gli imprenditori non rischiavano, anzi.

L’evasione veniva trasformata in una somma che rimpinguava le tasche e che permetteva di fare altri soldi, fino a quando qualcosa si è inceppato e il sistema sofisticato è stato svelato. —

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova