Veneto 2030, venti incrociati tra FdI e Lega

Fratelli d’Italia fa sapere che il via libera non è scontato e, in ogni caso, l’accordo richiederà una contropartita adeguata. Non solo a Palazzo Balbi e di aspiranti sindaci dei capoluoghi ma nell’intero scacchiere nordista

Filippo Tosatto
Antonio De Poli
Antonio De Poli

Se in Veneto il centrodestra è condannato a vincere, è pur vero che la pazienza degli elettori ha un limite. «Occorre accelerare e decidere in tempi brevi i nomi dei candidati, ce lo chiedono i cittadini nei territori, è tempo di coesione e responsabilità», il richiamo del senatore Antonio De Poli, che a fronte dell’impasse sul versante delle regionali invita i partner ad accantonare le alchimie tattiche.

A Roma, concludendo la festa del partito, il segretario nazionale dell’Udc porge alla premier Meloni una maglietta azzurra (“da capitano”) con la scritta Giorgia#1 e, tributato il saluto lealista, rivendica il ruolo di cespuglio centrista dell’alleanza. «Davanti a noi, oggi, c’è uno spazio politico enorme che va ricostruito per tornare punto di riferimento del mondo cattolico e degli esponenti civici che, ogni giorno, amministrano con serietà senza però trovare una casa stabile», le parole del padovano, erede dichiarato del moderatismo democristiano.

Al riguardo, in settimana, potrebbe riunirsi il fatidico tavolo nazionale ma il condizionale sconta i nodi irrisolti nella coalizione mentre permane l’incertezza sulla stessa data del voto. «Non siamo in ritardo, per andare alle urne c’è tempo fino al 23 novembre», è il mantra del presidente uscente, Luca Zaia. Che domenica sarà sul “pratone” di Pontida al pari di Alberto Stefani, candidato dalla Lega a raccoglierne l’eredità: il giovane dirigente interverrà dal palco in veste di vicesegretario federale e nell’occasione Matteo Salvini ufficializzerà l’imprimatur alla corsa elettorale, dopo averlo già annunciato a Oppeano.

Giochi fatti, allora? Non proprio. Perché, forte del primato nei consensi - «Un veneto su tre vota per noi e in democrazia i numeri sono importanti», scandisce il coordinatore Luca De Carlo - Fratelli d’Italia fa sapere una volta ancora che il via libera non è scontato e, in ogni caso, l’accordo richiederà una contropartita adeguata. Non solo a Palazzo Balbi (dove la destra già prenota gli assessorati di maggior rilievo) e di aspiranti sindaci dei capoluoghi ma nell’intero scacchiere nordista.

Emblematico, in tal senso, l’intervento del presidente del Senato, Ignazio La Russa, che lamenta l’adozione della “politica del carciofo” da parte del Carroccio. «Prima chiedono la Lombardia e il Trentino, poi il Friuli Venezia Giulia, adesso il Veneto… E a noi cosa resta? Una regione settentrionale deve avere un candidato espresso dalla destra, è una questione di equilibrio e dignità».

L’allusione corre alla locomotiva “lumbard” pilotata dal leghista Attilio Fontana (al secondo e conclusivo mandato) che andrà al rinnovo nel 2027. FdI, si apprende, sollecita a Salvini l’ impegno a cedere la presidenza a un rappresentante tricolore ma, aldilà dell’orizzonte temporale (nella convulsa politica italiana un biennio equivale a un’eternità), l’eventuale baratto - Milano in cambio di Venezia - rischierebbe di incrinare la leadership del Capitano in felpa, già traballante in terra lombarda dove il congresso ha tributato il successo del suo rivale, Massimiliano Romeo, capogruppo alla Camera. Sullo sfondo, ma neanche troppo, le ambizioni del terzo incomodo, Forza Italia versione Flavio Tosi, per nulla disposta al ruolo di comprimario e proiettata a sua volta alla conquista di poltrone pregiate.

Che altro? Nella Liga: Roberto Marcato denuncia il tentativo di escluderlo dalle liste a dispetto del record di preferenze e ventila la corsa solitaria, o meglio, in compagnia dei venetisti alla Toni Da Re. Minaccia o promessa? Lo sapremo presto. 

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