Barone (Veneto Lavoro): «Servono welfare e politiche attive»
Il direttore di Veneto Lavoro analizza l’andamento degli ultimi 15 anni nella nostra regione: «Rapida distruzione e ricostruzione dei posti di lavoro, mismatch tra domanda e offerta»

Tiziano Barone, direttore di Veneto Lavoro, come descriverebbe l’evoluzione del mercato del lavoro veneto negli ultimi 15 anni?
«Evidenzierei tre elementi caratteristici. Una più rapida distruzione e ricostruzione dei posti di lavoro. Il saldo è positivo: +240 mila posizioni, ma con una composizione diversa. La manifattura, a esempio, ha avuto una diminuzione forte fino al 2014, tornata in saldo positivo alla fine dello scorso anno, l’agricoltura ha mantenuto una dimensione positiva».
Poi?
«Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro. Oggi, su 100 offerte, 50 sono di difficile reperimento: metà per ragioni demografiche, metà per mancanza di competenze. E infine, la polarizzazione: il mercato si è spaccato tra alte e basse qualifiche. Entrambe le fasce richiedono politiche attive e aggiornamento continuo, soprattutto in ambito digitale».
Il tasso di occupazione è ai massimi, ma nel 2024 la crescita ha rallentato lievemente. Un segnale d’allarme?
«No, siamo in linea con gli anni scorsi, non ci sono differenze sostanziali. Stiamo continuando a crescere, anche se siamo distanti dai livelli europei. C’è da lavorare su due fronti: occupazione femminile e sostenibilità demografica. Le donne hanno spesso part time o carriere discontinue. Questo ha effetti anche sulle pensioni, con un maggior rischio di povertà. E poi il nodo demografico: entro il 2030 in Veneto mancheranno circa 400 mila persone nella fascia 15-45 anni. Anche tenendo conto dell’aumento nella fascia 45-65, il saldo negativo sarà di 150 mila persone».
L’occupazione giovanile è in calo, mentre gli over 55 sono raddoppiati. Il sistema è pronto a reggere l’invecchiamento?
«Non si trovano giovani. Le imprese, quindi, valorizzano le competenze disponibili. Chi lascia il lavoro, spesso lo fa per cambiare: il 70% di chi si dimette rientra entro un mese. Quanto ai giovani, servono politiche attive più incisive: abbiamo 80 mila Neet, metà dei quali invisibili. Bisogna intercettarli. Le imprese devono imparare a coltivare il capitale umano presente e futuro: non solo con l’ufficio del personale, ma con welfare aziendale, percorsi formativi, collegamenti con Its. I giovani vogliono tempo e flessibilità, non solo stipendio».
L’occupazione femminile cresce, ma la piena parità in Veneto è lontana.
«Serve una nuova organizzazione del lavoro: flessibilità, smart working, servizi alla famiglia. È un nodo decisivo, anche per evitare che le donne escano dal mercato in momenti chiave della vita. La cultura sta cambiando, ma resta il peso della tradizione, soprattutto tra alcune comunità straniere».
Nel 2023 l’88% dei lavoratori dipendenti ha un contratto a tempo indeterminato. È un traguardo stabile?
«Sì, ma la qualità è diversa. Sulle basse qualifiche domina ancora il tempo determinato, con alta rotazione. È qui che servono le politiche attive. La formazione continua sta diventando parte dei contratti: è la direzione giusta».
Nel 2024 un quarto dei lavoratori veneti è laureato.
«Siamo a livelli inferiori rispetto ad altre regioni. Lo spazio per l’inserimento lavorativo di persone laureate deve avanzare progressivamente».
Quali settori trainano oggi l’economia veneta?
«L’industria ha ripreso solo dal 2023, dopo anni di saldi negativi. Il terziario cresce su due fronti: turismo e commercio, e servizi alle imprese, come logistica e consulenza».
Cosa dicono i dati del 2025?
«La crescita continua, anche se più lentamente. Alcuni settori soffrono, come l’occhialeria bellunese, ma in generale reggono».
Guardando al 2030, qual è la sfida chiave?
«Rendere più efficienti i servizi per il lavoro. Abbiamo ancora un mismatch tra domanda e offerta anche nelle politiche attive: non tutti i territori sono coperti, i disoccupati poveri faticano a incrociare offerte lontane dalle loro sedi. È quello che cerchiamo di fare con la programmazione regionale». —
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