Femminicidio Zanola, un detenuto: «Favero mi confessò di averla uccisa per rancore»
Il processo per l’omicidio di Giada Zanola: l’imputato avrebbe ammesso di averla caricata in auto e gettata dal cavalcavia. La prof Caenazzo: «Un rapporto sessuale tra i due poco prima della tragedia»

Andrea Favero avrebbe confessato il delitto dell’ormai ex compagna a un “collega” detenuto ammettendo anche che la sua versione ufficiale era il suicidio. È quanto emerso ieri (17 dicembre) nell’ennesima udienza del processo sul delitto della 34enne Giada Zanola che si è celebrato davanti alla Corte d’assise di Padova.
Un delitto di cui è chiamato a rispondere, appunto, Favero, 39enne di Vigonza finito sul banco degli imputati con l’accusa di aver intontito l’ex compagna, madre del loro bimbo, con psicofarmaci come benzodiazepine (trovate nel suo sangue). E di averla scaraventata giù dal cavalcavia sull’autostrada a 800 metri da casa. Era la notte del 29 maggio 2024 fra le ore 3.24 e le 3.26.
Ma c’è un altro particolare inedito: alcune ore prima della sua morte, Giada Zanola aveva avuto un rapporto sessuale con Favero. Tracce biologiche di lui sono state scoperte nel corpo di lei. Resta da chiedersi: è stato un rapporto volontario? Oppure Giada era già intontita dai farmaci antidepressivi che – secondo la procura – l’imputato le avrebbe somministrato di nascosto prima di mettere a punto il suo piano omicida? Tutte domande alle quali il processo dovrà rispondere per accertare la responsabilità della tragedia.
Il compagno di carcere
«Incontravo Favero tutti i giorni al campo del carcere. Abbiamo parlato di questo fatto più di qualche volta. Mi disse che l’aveva accoppata per il rancore che portava dentro... perché andava con un altro. Cercavo di capire qualcosa ogni tanto... Diceva che l’aveva fatta fuori perché non la poteva vedere più. Lo aveva fatto perché lei lo tradiva, gli diceva che era un fallito. Cosa mi disse ancora? Mi disse che le dava delle cose per farla dormire, degli psicofarmaci. Che l’aveva portata lì (sopra il cavalcavia) che era mezza tramortita... E poi, un po’alla volta, mi raccontò che le aveva dato qualcosa per dormire, l’aveva caricata sul sedile dietro dell’auto, l’aveva portata lì e buttata».
Sessantanove anni, una vita vissuta al limite o dietro le sbarre, Enrico è il detenuto pesarese che aveva condiviso le ore d’aria con Andrea Favero. Aveva saputo della tragedia da “radio carcere”, le chiacchiere tra detenuti che, a ogni nuovo arrivo, aggiornano su storie e vicende delle matricole. E in aula ha riferito le confidenze ricevute: «(Favero) parlava sempre male di Giada, diceva che era una poco di buono...» ha rammentato, «Gli dissi di confessare ai giudici ma lui mi rispose che per lui si era suicidata... Si era buttata lei». Il riferimento è alla versione ufficiale sostenuta da Favero: Giada si sarebbe tolta la vita volontariamente. Era stato Enrico, oggi trasferito nel carcere di Rovigo, a chiedere alla direzione della casa circondariale Due Palazzi di incontrare il magistrato che si occupava del caso: «Era settembre 2024 quando ho parlato con il pubblico ministero Giorgio Falcone». Un punto per la pubblica accusa, rappresentata in aula dal procuratore aggiunto Paola Mossa.
L’esperta di Dna
Sconcertante il particolare emerso dalla professoressa Luciana Caenazzo, super-esperta di genetica forense, la scienza che analizza il Dna da tracce biologiche trovate sulla scena di un crimine. La consulente della procura ha analizzato, tra le altre cose, alcuni tamponi prelevati sul corpo della vittima e sotto le unghie di entrambe le mani.
«Sotto le unghie c’erano anche tracce del Dna di Favero. E nel tampone vaginale c’erano tracce biologiche dell’imputato che si trova, più o meno, entro le 24 ore tra un rapporto sessuale e l’esecuzione del tampone» ha chiarito la professoressa Caenazzo. Il tampone vaginale era stato eseguito sulla vittima il 31 maggio intorno alle 16.30.
Gli altri testimoni
L’ispettore Zanella della Squadra Mobile aveva raccolto la confessione di Favaro quando era arrivato in caserma (senza l’assistenza di un legale) nelle ore immediatamente successive al ritrovamento del corpo di Giada, caduta (o lanciata) da un’altezza di sette metri e 30 centimetri sull’autostrada A4: «Quando siamo andati in caserma, Favero appariva sereno. Nel pomeriggio (del 29 maggio) all’improvviso è scoppiato a piangere e mi ha raccontato quello che aveva fatto. Ho chiamato il pm e ho detto che aveva confessato».
A quel punto l’appartamento della coppia era stato perquisito ed erano state trovate tre confezioni di benzodiazepine; altre due confezioni dello stesso medicinale, invece, erano rispettivamente nel bagagliaio dell’auto e nel camion utilizzati dal 39enne.
Due amici della coppia, che avrebbero dovuto fare da testimoni di nozze del matrimonio rimandato due volte (e mai avvenuto), hanno ribadito: «Lei non voleva più sposarsi, lui ripeteva di essere innamorato di lei.... Giada, comunque, aveva voglia di vivere». Il suicidio non faceva proprio parte dei suoi pensieri come confermato da un’amica sentita all’inizio dell’udienza. Di nuovo in aula il prossimo 21 gennaio.
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