Quando l’Arcella era solo fabbriche: la storia dell’industria passa da qui
Saimp, Pilli, Idrotermici, Pallado, Rima, Pessi Guttalin, Bedeschi: le grandi aziende che diedero al rione un’anima operaia. La seindustrializzazione è stata sinonimo di speculazione edilizia ma i residenti si sono ribellati bocciando le torri Gregotti

È rimasto solo un rudere di cui da anni si discute l’abbattimento. Siamo nel parco Morandi nella zona nord dell’Arcella, a san Bellino, si tratta dell’ultima testimonianza del villaggio operaio che i fratelli Morandi, originari del Tirolo, costruirono, nei primi anni del ’900, vicino alle fornaci omonime, ora sede di uffici e di una grande birreria. Solo questo rimane dell’Arcella industriale, anche se nelle memorie dei più anziani le immagini rimangono vivide: «Era zona di fabbriche: la Pilli, la Saimp, la Idrotermici. Sulla strada dove adesso c’è la coda delle macchine, le cinque, le sei di pomeriggio, era l’ora degli operai, era tutto un brulicare di operai, con le tute blu sciamavano in bicicletta», ricorda Massimo Camporese di quando era bambino negli anni ’60.

Le case degli operai
C’erano le fabbriche e attorno le case degli operai che non potevano essere troppo distanti, al più si andava in bicicletta. Per questo all’Arcella le produzioni e le case convivevano, non sempre in armonia.
Alle case degli operai si aggiunse nel dopoguerra la crescita a macchia d’olio della città – fatto di tante case, pochi servizi e poco verde – e la convivenza con le produzioni si fa complessa.
Negli anni’80 furono le veementi proteste degli abitanti di via Perosi, tormentati dai fumi e dai rumori, a far trasferire la fonderia Pallado nata negli anni venti, una quarantina di operai e nel tempo sempre più stretta d’assedio dalle case.
Pionieri di design e innovazione
Ma non furono solo fumi e rumori, «testa bassa e lavorare»: all’Arcella trovarono spazio produzioni di prim’ordine. Uno dei fiori all’occhiello del design italiano fino agli anni ’70 aveva la sede in via Duprè, la Rima i cui prodotti – sedie e mobili per ufficio, tra cui la famosa Du30 – ora sono oggetto di esposizione in mostre d’arte e i suoi sedili venivano utilizzati nei cinema degli Stati uniti.
Anche la Pessi Guttalin rappresentò un’importante storia d’impresa, sostenuta da quattro generazioni: con l’invenzione del dispositivo per pulire le calzature “Pratico” – un lucido liquido da stendere sulla scarpa con un applicatore in plastica munito di una piccola spugna – conquistò negli anni ’70 i mercati europei e del nord America.
L’impresa era nata nel 1878 in piazza del Carmine quando produceva inchiostri e oggetti di cancelleria. Il trasferimento all’Arcella, in via Moretto da Brescia, avvenne negli anni ’70 presso uno stabilimento di famiglia già attivo nella produzione di insetticidi e deodoranti per l’ambiente. La chiusura è del 1995 dopo la vendita ad una multinazionale americana.
Quattro generazioni hanno retto anche l’impresa della famiglia Bedeschi che ora ha sede a Limena dove si è trasferita negli anni ’70, ma nacque in viale Sant’Antonino nel 1908 producendo la prima macchina italiana, la “mattoniera”, per la formatura dei laterizi.
La Saimp degli Anselmi
Per riassumere la storia economica e sociale italiana degli ultimi due secoli basta scavare alla rotonda dell’Interspar alla fine di San Carlo: lì c’era una villa padronale, Ca’ Magno, la classica villa veneta da dove i signori sovraintendevano i lavori nella campagne attorno.
La cappella sopravvissuta che ancora si può intravedere è una porzione dell’oratorio settecentesco intitolato alla Madonna della Mercede che faceva parte della villa. Sulle ceneri della dimora padronale – che venne danneggiata dalla guerra e poi abbattuta – venne costruita, nel 1950, la Saimp che presto diverrà non solo una delle più importanti aziende del padovano, ma il cuore del ’900 a Padova: dove battevano, assieme, l’innovazione tecnologica e la coscienza di classe, l’alta professionalità e l’orgoglio operaio.
Con la morte del paron Vittorio Anselmi, la Saimp venne acquistata nel ’68 dall’Iri e da lì conoscerà una fortissima crescita. Alla Saimp si producevano torni e fresatrici, ma il suo prodotto di punta erano le rettificatrici, macchine automatizzate che venivano utilizzate dai più grandi gruppi come la Ferrari, l’Iveco, la Fiat e, sempre alla Saimp si sono fatte le ossa molti quadri della sinistra padovana.
Con le privatizzazione negli anni ’80 inizia il declino, nel 2007 quello che rimane della grande fabbrica viene trasferito a Campodarsego. L’ultimo capitolo della storia chiude il ’900 ed è il tempo del consumo: l’Interspar e Mc Donald’s.
La deindustrializzazione
Forse si poteva pensare a qualcos’altro, ad un altro destino per il postindustriale? La domanda è lecita e riguarda un po’ tutta la deindustrializzazione del quartiere che ha faticato, passato il tempo delle ciminiere, a trovare un’anima. Nei terreni lasciati liberi dalle industrie la cubatura concessa per costruire era molto alta, 5 metri cubi al metro quadro – ridotta poi a 2 nel duemila – il che ha incoraggiato la speculazione edilizia con effetti non sempre esaltanti tra cui il quartiere con la minor quantità di verde della città con 6 metri quadrati di verde pubblico comunale pro capite contro una media padovana di 23 metri quadrati.
La discussa Torre Gregotti che sorge nel terreno dove c’era la Sangati, fabbrica di macchinari per molini, doveva fare compagnia ad altre tre previste attorno intorno a piazza Azzurri d’Italia e una passerella sopra via Aspetti. Il progetto fu bocciato, nel 2006, da un referendum popolare. Era il segnale preciso di un fallimento. —
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