A 86 anni vende ancora televisori: «Lavoro per tre e tengo testa ai centri commerciali»
Silla Lago in Pasquetto, padovana: «Quando nel 1958 con mio marito aprimmo a Forcellini, vendevamo una cosa nuova come l’intelligenza artificiale oggi»

«Quando ho cominciato a vendere televisori a Padova, li compravano in pochi, le famiglie ricche. La televisione era una cosa nuova, come l’intelligenza artificiale oggi».
Silla Lago in Pasquetto, 87 anni a dicembre, è seduta all’ingresso del negozio che ha visto nascere insieme al quartiere Forcellini di Padova: Pasquetto elettrodomestici, l’insegna è sempre la stessa.
Signora Silla, era il 1958. sta dicendo che lei è stata la prima donna in città a vendere televisori?
«Avevo vent’anni, e Antonio, il mio moroso che poi è diventato mio marito, aveva studiato per diventare tecnico delle tv, ce n’erano ancora poche in giro, ma era il futuro. Ho trovato un posto dove aprire un negozio, mi disse un giorno. Era qui dove siamo adesso. Però non c’era la strada, c’era un fosso. E non c’erano tutte queste auto, c’erano pecore che pascolavano. Gli dissi: Antonio, ma proprio qui vuoi aprire il negozio? Chi vuoi che ci passi? E lui mi rispose: stanno costruendo il Policlinico, vedrai che cambia tutto. E aveva ragione lui».
E di televisioni se ne vendevano?
«I primi anni poche. La tivù è era una cosa nuova, quasi nessuno l'aveva a casa. C'era la televisione al bar, quello sì. Noi vendevamo tanti frigoriferi e radio. Lavatrici ancora no, si lavava a mano a quel tempo».
L’attività funzionava?
«Mio marito era anche tecnico, ci fu un periodo in cui tutti volevano l’antenna per la tv anche se non avevano ancora comprato l’apparecchio. Si preparavano. Io facevo la maestra da giovane, in una scuola elementare di Vigodarzere dove abitavamo. Ma lavoravo solo la mattina a scuola, e il pomeriggio venivo ad aiutare mio marito. Lo Stato l'ha sempre saputo».
Da questa vetrina ha visto nascere il quartiere Forcellini?
«Nel giro di una notte mi viene da dire. Hanno coperto il fosso, posato cavi, sono aumentate le case. Nel 1960 c’era il quartiere».
Tornando alla televisione, quando c'è stato il "boom" delle vendite?
«All’inizio dei ’70. La gente ha cominciato a avere qualche soldo in tasca».
Ricorda i primi programmi televisivi?
«Non ero tanto appassionata. Mi piacevano "Campanile Sera" e “Lascia o raddoppia” con Mike Bongiorno. Tutto in bianco e nero».
Tuttavia lei ha visto l’evoluzione degli apparecchi televisivi.
«E anche della gente. La televisione ha cambiato le persone, tanti contadini che piano piano sono andati a fare altri lavori».
Nata a San Martino di Lupari e diventata padovana. Il suo nome è insolito.
«Glielo spiego. Mio papà non aveva studiato, ma era amante della lettura. Aveva un amico che gli passava sempre libri romani. Lui si è innamorato del nome di uno scrittore, Silla: siccome finiva per A, ha pensato potesse essere un nome per una figlia. Pensi che il prete non mi voleva battezzare».
Non ha mai pensato di andare in pensione?
«E cosa faccio a casa? Conosco i clienti da quando erano piccoli. Ho visto gente arrivare in carrozzina con le mamme e adesso hanno 60 anni!».
Qual è il segreto di un piccolo commerciante?
«Se mi chiedono un consiglio, non tecnico, lo dico per esperienza. Mi fido dell'esperienza più che della novità. Per esperienza intendo anche aziende che hanno storia».
Si dice che lei abbia prodotti di qualità e prezzi competitivi, a volte anche meglio delle grandi catene. È vero?
«Lo sa che viene qua la Finanza, perché i centri commerciali ce la mandano? Perché abbiamo i prezzi più bassi di loro e non capiscono il perché. Ma qua dentro io ho imparato a fare tutto. Sono cresciuta con tutta la parte teorica di questo negozio. Ho ancora la contabilità in mano. So vendere, so comprare, so "battere i pugni" quando serve. Per fare quello che faccio io servirebbero tre dipendenti. Quel costo lo risparmio e faccio spendere meno i clienti».
È rimasta l’ultima di questa razza...
«I piccoli non ci sono più. Quando abbiamo cominciato noi, c'erano tanti Molon, Zattarin, Fonti, Marcato...».
Troppa competizione?
«Eh sì, adesso ci sono prezzi troppo bassi nel nostro lavoro. Ma noi serviamo i clienti con prodotti di qualità. Se non è un marchio non lo voglio».
Suo figlio Stefano lavora con lei?
«Sì, mio figlio da sempre. Ho anche una figlia che fa l’insegnante».
Suo marito Antonio da quanto non c’è più?
«È morto nel '97. Di cancro. Era giovane, aveva 64 anni. Lui lo sapeva di morire. Il giorno prima, piangendo, disperandoci tutti e due, ha detto: "Chissà che fine farà il mio negozio". Aveva in mente questo negozio come un figlio, per la fatica che aveva fatto per tirarlo su. Io gli ho detto: "Finché ci sono io, il tuo negozio resta in piedi"»
Sente ancora in qualche modo la sua ispirazione?
«Ah beh, io gli parlo sempre. Quando vado al cimitero, tutti i lunedì mattina che qua è chiuso, gli racconto come va il negozio. Sa che delle volte lo vedo che mi sorride dalla foto?».
Lei pensa che ci sia un futuro per questo negozio dopo di lei?
«Ci penso spesso a cosa farà mio figlio coni tre dipendenti che servirebbero senza di me. Non so se può farcela da solo. Però mio figlio è bravo commercialmente, saprà come fare».
Intanto per ora c’è lei.
«Vengo qua la mattina, resto fino alla sera e mangio un panino a mezzogiorno. Mi sento benissimo, a parte qualche doloretto. Resterò qui finché non mi troveranno stesa per terra e allora diranno: è andata».
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