Top 500 Padova: «Il modello veneto fa fatica, servono imprese più grandi»
È uno dei messaggi arrivati dall’evento Top 500 di Padova, che si è tenuto nel quartier general del Gruppo Sit, nella zona industriale della città

Uno scenario pieno di incertezze nel quale gli imprenditori «non devono però farsi travolgere ma al contrario continuare a investire». È uno dei messaggi arrivati dall’evento Top 500 di Padova, che si è tenuto nel quartier general del Gruppo Sit, nella zona industriale della città, inaugurato lo scorso anno e vetrina delle attività di ricerca e sviluppo che l’azienda ha messo al centro del proprio percorso.
Tema dell’incontro, tappa padovana del tour organizzato da Nord Est Multimedia assieme a Pwc Italia, la necessità di aggregarsi: «Il modello di sviluppo industriale che in passato ha portato il Nord Est a fare da traino all’economia italiana», ha detto Francesco Nalini, vicepresidente di Confindustria Veneto Est, «ora sta facendo fatica e uno dei motivi è rappresentato dalle dimensioni troppo piccole di molte aziende. Avere dimensioni maggiori oggi è essenziale per avere la capacità di investire in ricerca e sviluppo, attrarre talenti, e affrontare un mercato globale che si sta regionalizzando, dove occorre andare a produrre in aree geografiche lontane da qui non per delocalizzare ma per superare le barriere tariffarie e tecnologiche».
Dopo i saluti di Antonio Santocono, presidente della Camera di Commercio di Padova e di Unioncamere Veneto, che ha invitato a non trascurare l’importanza del contributo delle Pmi a un’economia regionale che continua ad essere la terza d’Italia, e la presentazione della classifica delle 500 principali aziende padovane da parte di Francesco Ambrosini, ricercatore in economia aziendale all’università di Padova, sono intervenuti diversi imprenditori, ognuno con il proprio punto di osservazione sul tema delle aggregazioni.
Bruno Conterno, amministratore delegato di Nice Footwear, ha spiegato come in dieci anni di vita l’azienda ha utilizzato diversi strumenti di finanza straordinaria – prima un bond, quando era ancora piccolissima, poi la quotazione in Borsa, infine il delisting e l’ingresso di un fondo di private equity – per mettere a segno diverse acquisizioni («tutte qui in provincia di Padova, perché il nostro obiettivo è valorizzare le straordinarie capacità tipiche di questo territorio», arrivando in area 100 milioni di euro di fatturato e affermandosi come leader nella produzione di scarpe di lusso per le grandi griffe.
Andrea Olivi, presidente di WeDo Holding ha raccontato come la nascita del gruppo, arrivato ormai a sfiorare i 300 milioni di euro di fatturato, sia nata dalle difficoltà di affrontare il capitolo della successione del mobilificio da cui tutto è partito, il cui capitale era diviso fra otto diverse persone con obiettivi diversi: «Siamo partiti da 60 milioni di euro di ricavi con 4 di perdite e ci siamo posti l’obiettivo di non fermarci all’arredamento ma di espanderci nella realizzazione di interi ambienti, tecnologie e servizi come l’energia».
Anche nel caso di WeDo Holding il percorso è stato computo attraverso acquisizioni «dove invece dei formalismi legali del mercato anglosassone abbiamo privilegiato il rapporto di fiducia», ha spiegato Olivi.
Una storia diversa, ma altrettanto istruttiva, è arrivata da Valeria Ortolani, una delle quattro sorelle che gestiscono l’azienda di packaging da 20 milioni di fatturato Esseoquattro, fondata dai genitori: niente acquisizioni in questo caso, e neppure la cessione ad un acquirente come accade per tante imprese nel momento del passaggio generazionale.
«Ci ha aiutato il fatto che nostro papà (scomparso nel 2004, ndr) fin dall’inizio avesse messo in prima linea mia sorella Silvia, dicendo spesso ai clienti di rivolgersi direttamente a lei. Così Silvia si è fatta trovare pronta, quando è stato necessario», ha spiegato Ortolani, sottolineando come l’azienda – pur nelle sue dimensioni medio piccole – abbia sempre investito molto in ricerca e sviluppo e nelle collaborazioni con l’università.
Anche Sit Group, ha raccontato il presidente e amministratore delegato Federico de Stefani, ha messo lo sviluppo industriale, passando dalla produzione iniziale di valvole e componenti per le caldaie a gas prima alle pompe di calore, poi alla misurazione dei consumi d’acqua, attraverso l’acquisizione della portoghese Janz nel 2020 «quando, a causa del Covid, non siamo riusciti neppure ad andare a vederla».
«Proprio la diversificazione ci ha permesso di affrontare le difficoltà di questi anni, caratterizzati dalla transizione del gas e dall’incertezza delle normative», ha detto de Stefani.
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