Addio a Surtees, mito di Ferrari e Mv

ROMA. Era un mito dello sport motoristico, e non solo. John Surtees se n'è andato all'età di 83 anni in seguito a crisi respiratoria, e dopo che da circa un mese era ricoverato in strutture ospedaliere, al St. Georgès Hospital e poi nell'East Surrey Hospital, a Londra. Il suo nome rimarrà per sempre nella storia dello sport perché il britannico, figlio di un venditore di moto di Londra sud, è stato l'unico pilota capace di diventare campione del mondo sia nelle moto che nelle auto. E sempre nel segno dell'Italia, visto che ha trionfato in sella alla Mv Augusta e poi al volante di una Ferrari. Sette i titoli vinti nel Motomondiale, tra il 1956 e il 1960, anno quest'ultimo in cui cominciò a cimentarsi anche nelle quattro ruote. Con la Lotus disputò due gran premi di F1, a Montecarlo e quello di casa in Inghilterra, ottenendo un secondo posto davanti ai tifosi di casa. Era quindi tempo di fare la scelta definitiva, che lo portò a diventare quello che oggi la Bbc, ricordandolo, definisce "una colonna dell'automobilismo".
Ma giova ricordare che il soprannome di "figlio del vento" (fu il primo a portarlo, prima che venisse assegnato al fuoriclasse dell'atletica Carl Lewis) se l'era già guadagnato con le moto, grazie a una serie impressionante di vittorie, che fecero seguito ai suoi inizi nelle categorie minori, da ragazzino prodigio. Che avesse talento cristallino anche come pilota di auto lo notò quasi subito anche Enzo Ferrari: già nel 1962 gli propose di entrare a far parte del team di Maranello, ma Surtees declinò la proposta non ritenendosi ancora pronto per quella scuderia, e quelle vetture, che considerava il massimo. Lasciò la Ferrari dopo un brutto litigio con il team manager Eugenio Dragoni, che lo escluse dalla 24 Ore di Le Mans non ritenendolo in condizioni fisiche adeguate: in quell'epoca di automobilismo eroico, la Rossa correva anche nei prototipi, e i top driver non si limitavano alla F1, gareggiando in contemporanea in altre categorie. E anche questo rende Surtees ancor più grande. In patria lo ricordano, e oggi lo celebrano, anche come benefattore, per l'attività della Fondazione intitolata al figlio Henry, anche lui pilota, morto in un incidente durante una gara di F2 del 2009.
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