Andreucci: «Il mio “Campo” è ruspante affronterà i professionisti senza paura»

CAMPODARSEGO.
Ci voleva un toscano doc, dal carattere forte e determinato, per tramutare il sogno in realtà. Quello del Campodarsego elevato al rango del calcio d'élite in Italia. La prima promozione in Serie C, personale e di società. Così Antonio Andreucci, 55 anni, a furia di provarci e riprovarci ha raggiunto l’obiettivo: il più significativo centro della sua carriera da tecnico. Ed eccolo qui, a raccontare com’è nata la bella storia dei “gabbiani” biancorossi, che formano ora, con Padova e Cittadella, il trio delle nostre squadre di calcio professionistico.
Mister, quante promozioni sono?
«Premessa: vincere è sempre difficile. Io ci sono riuscito ad Asolo, poi con il Real Vicenza e una prima volta a Campodarsego. Quindi mi sono aggiudicato gli ultimi 4 playoff di Serie D, sino al successo di quest’anno. E ho in bacheca anche due Coppe Veneto, con Real Vicenza e sempre con il “Campo”» .
Una bella serie di vittorie...
«Ne vado orgoglioso. E questo salto nei “pro” corona le ambizioni del presidente Daniele Pagin. In società l’anno scorso c’era stato un rimescolamento delle carte, con l’uscita di scena del direttore Attilio Gementi e l’arrivo di Andrea Maniero. Pagin non faceva mistero di volerci provare, e da parte mia sotto sotto c’è sempre stato il desiderio di accontentarlo».
Ma che sapore ha una promozione di questo tipo rispetto ai risultati ugualmente importanti colti con Triestina e Como ai playoff?
«Qui c’è uno spirito ruspante, caratteristico dell’ambiente, che ci ha portato, già al primo anno di Serie D, a lottare con il Venezia sino alle ultime giornate, mettendo insieme 79 punti. Il successo di adesso è maturato pian piano sul campo, quando ci siamo resi conto che le qualità dei nostri giocatori avrebbero potuto spingerci in alto. Quando non c’era ancora Maniero, avevo creato la base a cui aggiungere i tasselli mancanti: Andrea è stato bravissimo a portare elementi di qualità, come Gabbianelli, Tonelli, Finazzi e Pasquato. Della rosa che aveva dominato i playoff un anno fa era rimasto solo Leonarduzzi, una rivoluzione radicale».
Quando vi siete resi conto che avreste potuto farcela?
«Sono stati tre i momenti importanti: 1) la vittoria di Este (3-1, dopo i tre pareggi iniziali, ndr); 2) la sconfitta di Chioggia (1-0 su rigore molto discusso), dove per larghi tratti avevamo giocato un ottimo calcio; 3) il cambio di modulo, dal 4-2-3-1 a un 4-3-1-2 che esprimeva meglio le caratteristiche dei singoli. E poi è nata, strada facendo, un’alchimia fra i ragazzi che ci ha consentito di superare momenti difficili con grande coraggio ed entusiasmo».
Mancavano 10 giornate, più una da recuperare, quando c’è stato lo stop imposto dall’emergenza Covid-19. Eravate primi con 6 punti di vantaggio sul Legnago. Cosa avete pensato in quel momento?
«Subito è subentrata un po’ di delusione. La sospensione era più che legittima, ma eravamo un po’ sconcertati perché coltivavamo tutti la forte volontà di andare sino in fondo e poi di gioire insieme. Quando è maturata la possibilità di essere proclamati vincitori, l’abbiamo... accettata perché consapevoli di aver meritato più degli altri. E avevamo avversari forti da cui guardarci: Adriese, Clodiense e Legnago. Ci sentiamo degni di questo successo, anche per il percorso seguito dalla società in questi anni. Devo ringraziare lo staff, dal vice Luciano Stevanato a Luca Sabbadin, preparatore atletico, da Cristian Aljaberi, allenatore dei portieri, al team manager Massimo Puppo. E i ragazzi, tutti magnifici».
Per concludere sulla promozione, che vittoria è stata la vostra?
«Le racconto un aneddoto. Dopo i primi tre pareggi, il nostro medico, Andrea Cinetto, si sbilanciò: “Antonio, quest’anno facciamo nostro il campionato, vedo un’unità d’intenti che non c’è mai stata”. Aveva ragione lui, è stata la vittoria della squadra. Sono molto orgoglioso di quanto ottenuto. Mia moglie Roberta ha detto: “Finalmente! ”. Lei sa quanta gavetta mi sono sciroppato, dalla Seconda Categoria in su. Fu Ezio Glerean, quando ancora giocavo a Bassano, era un centrocampista, a puntare su di me come allenatore di una formazione giovanile. E da lì iniziai».
Parliamo dei programmi futuri?
«Con Andrea Maniero si lavora benissimo, e la società dietro di lui si sta già muovendo. Vogliamo confermare un gruppo che ha un suo stile di gioco e che ci proietterebbe in C avendo già delle certezze. La spina dorsale della squadra può essere quella nota (dunque, Leonarduzzi, Finazzi, Gabbianelli, Tonelli, Pasquato, ndr), per il resto vedremo. I giovani, e vorrei citare Amadio, potrebbero rivelarsi una preziosa risorsa, specie se qualche club importante ce ne girasse alcuni. Avremo bisogno di 23-24 elementi per affrontare la nuova stagione. Giocheremo allo stadio Euganeo? Se fosse così, la speranza è che magari qualche appassionato padovano possa avvicinarsi e seguirci».
Pasquato, dunque, non va via?
«Per lui arrivare a 30 anni e giocare da professionista nella squadra a due passi da casa credo sia motivo di orgoglio. Vedo che si sta sforzando di diventare un leader, perché è sempre stato la ciliegina sulla torta, mentre ora può essere lui la torta».
Dedica finale?
«Alla famiglia, moglie e figlia (Alessia, 21 anni, iscritta a Scienze Motorie, ndr) mi hanno lasciato sempre tranquillo, e al presidente Pagin. Lo vedo animato dalla curiosità di capire dove si può arrivare, e poi ha coraggio. L’immagine di un Campodarsego bella realtà di provincia che si affaccia al calcio professionistico è importante, sia per lui che per l’ambiente. Importante e stimolante, direi». —
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