«Borg era un pallettaro, però era il più forte Spiace per De Coubertin, oggi conta vincere»

PADOVA. Nicola Pietrangeli, il miglior tennista italiano di sempre insieme ad Adriano Panatta – nei giorni scorsi a Padova in occasione della presentazione degli Internazionali Bnl d’Italia 2015 - è l’unico giocatore italiano ammesso nella Hall of Fame del Museo del tennis di Newport (Stati Uniti).
Nick Pietrangeli, nato nel 1933 a Tunisi da padre italiano e madre russa, è un mito della racchetta: 164 match in Coppa Davis, vincitore di due Roland Garros nel 1959 e 1960 e proprio di due Internazionali d’Italia nel 1957 e 1961, quest’ultimo a Torino contro Rod Laver, altro mito del tennis mondiale. «Già, ho vinto due volte gli Internazionali d’Italia, ma non mi ero mai reso conto di cosa significasse parteciparvi per 22 volte. Adesso però è tutto diverso. Ai miei tempi, mi aggiustavo il tabellone pretendendo di affrontare avversari deboli, in quanto mi ritenevo molto forte e cercavo in tutti i modi di proiettarmi avanti». Verace e godereccio, la romanità acquisita, Pietrangeli tuttavia non dimentica le sue origini, anche dopo l’ultimo attentato terroristico a Tunisi («bisogna prendere provvedimenti»), dove a dieci anni disputò il suo primo incontro di tennis in un campo di concentramento. Da lì in poi, il Nick nazionale si è affermato come uno dei migliori tennisti dell’era pre-Open, quando ancora le classifiche computerizzate non esistevano. «È cambiato il mondo e con esso anche il tennis. Le racchette hanno portato lo stravolgimento maggiore, ma oggi è veramente un’altra epoca e non si possono tracciare paragoni con il mio tempo. Ora bisogna essere bravi, non è che uno vince perché c’è un sistema. Sono convinto che quando un giocatore si dimostra più forte in campo è legittimato a vincere. Borg ha rovinato - si fa per dire - il tennis, ma ha vinto cinque volte di fila Wimbledon, cosa gli si può dire? Ha inventato un gioco da “pallettaro”, ci ha ragione lui: è più bravo, punto e basta. Oggi de Coubertin non esiste più: non è importante partecipare, conta solo vincere. Non dico mica con tutti i metodi, però…».
Cosa serve al nostro tennis per alzare l’asticella?
«Aridaje. Abbiamo ottimi giocatori, ma non quello con la “C” maiuscola: ci manca il campione. Ma il campione non si fabbrica, non ci spetta di diritto. Dovevamo avere la fortuna che la cicogna facesse cadere il talento a Como, anziché a Berna e a quest’ora avremmo avuto un Federer. Prima di questo fenomeno, però, la Svizzera non ha mai avuto giocatori di tennis. In passato ricordo soltanto Rosset. Federer gli è caduto dal cielo e Wawrinka è di origine polacca. Prendete poi il Belgio, in ambito femminile non ha mai avuto una grande tradizione, ma si è ritrovato con la numero uno e due del mondo, Henin e Clijsters».
Con Orlando Sirola ha formato il doppio più vincente nella storia del tennis tricolore. Secondo lei, perché Sara Errani e Roberta Vinci hanno sciolto il loro sodalizio?
«In genere è la stessa cosa del matrimonio, quando ci si prende una pausa di riflessione. La loro amicizia mi è sempre sembrata solida, come lo è stata quella fra me e Sirola. Se hanno preso questa decisione avranno avuto i loro buoni motivi». (m.ros.)
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