Memorabile quella giornata quando il Padova si salvò in A ai rigori
Perrone ricorda il 10 giugno 1995 quando i biancoscudati batterono il Genoa: «Fu la mia gara d’addio, non sbagliai». Centosessanta le partite nella massima serie dell’ex tornante biancoscudato

Trent’anni fa l’ultima grande gioia tra i grandi. Il 10 giugno 1995 è una delle poche date che i tifosi del Padova non potranno scordare mai. Sotto il diluvio di Firenze la squadra, allenata da Sandreani, sconfisse il Genoa ai calci di rigore nello spareggio salvezza in Serie A. Per il secondo anno consecutivo i biancoscudati si giocarono in una finale secca l’intero campionato e, dopo aver conquistato la promozione in massima serie ai danni del Cesena, si regalarono un’altra stagione in paradiso nell’epilogo più crudele e affascinante possibile. Dopo l’1-1 dei tempi regolamentari firmato dalle reti di Vlaovic e Skuhrawy, i tiri dal dischetto premiarono il Padova. Una partita indimenticabile per chiunque l’abbia vissuta, ancor più per chi, proprio sul quel campo, pose fine a una lunga carriera.
L’ultimo pallone calciato da Carlo Perrone (centrocampista da oltre 160 presenze in Serie A e una decina anche in Europa) fu proprio un calcio di rigore realizzato spiazzando Spagnulo. «Non so quanti altri calciatori possano dire di aver chiuso la carriera da professionista segnando all’ultimo pallone toccato», sorride Perrone, prossimo a compiere 65 anni.
«Era la mia partita d’addio, uno spareggio salvezza con la squadra della mia città, dove ero cresciuto ed ero tornato proprio in quella stagione, quindici anni dopo la mia partenza. Se al momento di calciare avessi pensato a tutte quelle cose, la palla sarebbe finita in curva. Meno male che rimasi freddo, anche perché fu il gol che ci rimise in parità. Chiudere con quella gioia è ancora oggi motivo d’orgoglio».
Gioia e sofferenza: pieno dna biancoscudato.
«Ma ci aggiungo anche il merito, perché era giusto che ci salvassimo. La stagione era partita malissimo, con quattro sconfitte nelle prime quattro gare. Alla vigilia della quinta giornata andammo tutti a cena sui colli, fu una serata divertente, che fece da preludio al primo punto, un pareggio in rimonta a Napoli. La settimana dopo vincemmo contro il Milan e così decidemmo di ripetere sempre più spesso quelle cene insieme, anche per scaramanzia. Era una buona squadra, con alcune grandi individualità, in una Serie A estremamente competitiva».
Gioia e sofferenza sono state anche il leitmotiv di questa stagione, che Perrone, da buon padovano, ha seguito come sempre: «Mi sono convinto presto che sarebbe potuto essere l’anno buono, quando ho seguito le prime partite e ho visto l’approccio che ha avuto il tecnico Andreoletti. La differenza l’ha fatta lui. Ho avuto il piacere di ascoltarlo, la settimana scorsa, alla Fiera di Rimini in un evento promosso dall’Assoallenatori e mi ha impressionato ancora di più: preparato, disponibile, umile».
Può stupire anche in B? Perrone, da vice di Tesser, ha fatto il doppio salto dalla Serie C alla Serie A con il Novara.
«La chiave fu quella di cambiare qualcosa nella rosa, ma non troppo. Lo scheletro rimase quello della Serie C, con alcuni innesti importanti. Sono passati 15 anni e a mio parere il livello della C si è abbassato molto rispetto all’epoca. Il Padova fa bene a non smantellare, ma ha bisogno di qualche giocatore d’esperienza nei ruoli chiave».
E le vicende societarie dove le mettiamo? «Anche questo è nel dna del Padova: l’insoddisfazione quasi perenne nei confronti della società. Io, un investitore come Oughourlian lo sosterrei e me lo terrei stretto. Anche se è vero che potrebbe farsi vedere un po’ di più in città».
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