Cerilli, Padova nel cuore I sessant’anni del Mastro

PADOVA. I capelli non sono più lunghi e neppure biondi, sono anzi un po’ brizzolati, ma lo sguardo da “Gringo” è rimasto lo stesso di trent’anni fa. «Ho l’aspetto da persona matura, diciamo che ho l’aspetto da nonno…», se la ride Franco Cerilli alla vigilia del suo 60° compleanno (sabato prossimo, auguri a lui), davanti all’asilo di Chioggia dov’è venuto a prendere me nevoda, come dice lui in dialetto.
«Nella mia vita ho avuto tante gratificazioni, ma essere nonno, ve lo assicuro, è veramente il massimo», dice il “Mastro”, spiegando che sabato prossimo, dovunque andrà a festeggiare, sarà di sicuro insieme alle sue nipotine Giorgia e Virginia.
E il calcio? Poco, perché Cerilli, calciatore anni negi anni ’70-’80, forse il numero dieci più talentuoso nella storia del Padova, addirittura meglio di Demetrio Albertini, Vincenzo Italiano o Damiano Longhi («Io mi metto alla stregua di Humberto Rosa che aveva più fantasia»), quest’anno è rimasto fermo. Da allenatore dilettante, ex di Piovese, Legnaro, Casone, San Pietro in Volta e, l’anno scorso, VigonovoTombelle in Seconda categoria, si limita per ora a dare una mano ai bambini di 6-7 anni del Borgo San Giovanni (una società vicino a casa sua a Chioggia), in attesa, s’intende di qualche squadra che si faccia viva all’orizzonte. «Credo di aver sempre fatto bene. Ho vinto anche tre campionati e non sono mai retrocesso. Ma nel calcio c’è sempre bisogno dell’amico, quel che fai conta relativamente. E comunque» avverte «mi interessano molto le persone e non certo le categorie».
Nel cuore. Debutto a 16 anni nel suo Sottomarina, poi Massese, l’Inter dell’esordio in A («Mi videro Fraizzoli e sua moglie Lady Renata d’estate in amichevole a Massa, probabilmente i calzettoni giù… potevo assomigliare al grande Corso ma non ero lui. E neanche l’Inter era la sua…»), fino alle stagioni più belle con la maglia del “Real” Vicenza, secondo dietro alla Juve nel 1977-78 con Paolo Rossi capocannoniere, e quella del Padova: tre le stagioni biancoscudate, con il fiore all’occhiello della promozione in serie B nel 1982-83, Bruno Giorgi allenatore.
«Ho avuto due società nel cuore. A Vicenza sono stato gratificato come risultati, a Padova come persona» confessa il “Cero” «Mi avevano intitolato anche un club, il Mastro Cerilli. Mi volevano talmente bene che, così mi diceva mio papà che andava in tribuna, anche quando sbagliavo dicevano che era colpa degli altri… Se ho conservato maglie o altro? No, le uniche due sono di Inter e Massese, e una della Nazionale di serie C dove avevo come allenatore Bearzot. Devo averla messa in soffitta».
Troppi cambi. Il gol più bello? Allo stadio Appiani, nel 1984. «Contro il Lecce con un tiro da metà campo, quella partita con la pioggia vinta 5-0. Loro facevano il fuorigioco, avevo visto il portiere fuori dalla porta…». E il Padova di oggi? «Ha cambiato troppo. Quando si fa un programma bisogna mantenerlo, come fanno a Cittadella che hanno sempre lo stesso allenatore. O all’Udinese, o al Manchester United. E poi devi circondarti di persone capaci e non di mangioni. Quest’anno mi pareva ci fossero le persone giuste. Peccato, mi sono sbagliato». Rimpianti? «Nel 1978, l’anno del secondo posto con il Vicenza ma anche dei Mondiali in Argentina. Rossi ci andava, potevo esserci anch’io che gli mettevo i palloni giusti. Ma c’era il blocco Juve e poi c’era soprattutto un certo Franco Causio. Mi levo il cappello davanti a lui».
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