Dal reparto per malati Covid al titolo europeo Ultracycling «Così grazie al mio lavoro ho imparato a non mollare»

LA STORIA
Federico Caretta, è un campione delle due ruote, ma con il camice da infermiere. È passato dalla corsia ospedaliera del S. Bortolo di Vicenza dove erano ricoverati i malati di Covid, al podio europeo di specialità sportiva.
Nel mezzo «il periodo peggiore della mia vita» come dice lui, pensando a tutto ciò che ha dovuto rinunciare: gli affetti per paura del contagio e l’assenza di allenamenti su strada consumati tra le quattro pareti di casa con i rulli. Ma questo non l’ha fermato, anzi l’ha avvantaggiato nel diventare campione europeo di “Ultracycling” (disciplina estrema di ciclismo) nell’agosto scorso, dopo che nel 2019 è stato campione italiano. Parliamo di uno capace di stare in sella ventiquattro ore di fila, senza mai fermarsi, con 25mila km di allenamento su strada all’anno.
«Non potevo mollare…» dice lui, ripensando al titolo europeo conquistato a Santa Maria della Vittoria nella Marca Trevigiana, dove si è disputata “l’Ultracycling – 24 ore del Montello”. «Non potevo mollare per decine di motivi che nel tempo sono divenuti motivazioni» aggiunge il campione ancora emozionato. Oggi Federico è il campione capace di stare ininterrottamente in sella per ventiquattro ore, su un circuito di 33 km con 400 metri circa di dislivello, grazie alla sua prestanza fisica e tenuta psicologica: «L’unico aspetto positivo che ho ereditato dalle lunghe giornate di emergenza passate in corsia all’Ospedale di Vicenza». «Non è stato facile –racconta il campione-, ma credo che i duri allenamenti fatti sui rulli dentro casa nelle poche ore libere a disposizione, dopo il lavoro coi pazienti positivi al virus, mi sia servito per scaricare la mente». Quella mente che gli serve a gestire lo sforzo disumano richiesto dall’Ultracycling: «In corsia corri per salvare vite umane –aggiunge lui-, per strada corri sulle due ruote per l’energia che ti viene da dentro. Corro perché mi è sempre piaciuto muovermi fin dalle elementari, quando sognavo di diventare un ciclista professionista. Ma questo è rimasto un sogno…».
Sogno che sebbene non più giovanissimo, l’ha portato a scalare la classifica europea di specialità: «Una bella soddisfazione, anche perché questo ti permette d’invecchiare senza troppi rammarichi. Il podio quando c’arrivi lo vedono tutti, ma non tutti possono immaginare lo sforzo che sta dietro ad ogni vittoria. Non puoi stare in sella 24 ore se non hai un allenamento duro alle spalle, visto che devi combattere contro la fatica, il sonno, i dolori articolari, il caldo, il freddo, la fame». «Può saperlo tua figlia, i famigliari, gli amici, la tua squadra». Così Federico ha fatto un toccante post pubblicato su Facebook e Instagram (nick Ananas85vi, ndr), in cui spiega la sua vittoria. Una sorta di decalogo motivazionale e sentimentale: «Non potevo mollare –scrive– perché all’inizio del 2020 dopo un mese senza toccare la bici, causa febbre e otite, ho percorso 1.200 km in otto giorni a Lanzarote (Canarie), da solo e controvento, capendo che avevo ancora la speranza di pedalare alla grande!». «Non potevo mollare, anche se il Covid mi ha rinchiuso in casa, facendo saltare i miei piani di preparazione». «Non potevo mollare –aggiunge–, pensando a quanto ci siamo spesi in ospedale per i pazienti affetti da Covid in rianimazione, con gli allenamenti di 4-5 ore sui rulli che in confronto erano per me come passeggiate. In quel periodo poi, non vedevo mia figlia Matilde di quattro anni, per questioni di contagio, visto il mio delicato mestiere. Rabbia e desiderio che scaricavo nello sport. Non potevo mollare, perché una volta libero non ho perso la testa, ricominciando con le distanze di 100, 200, 300, 400 km al giorno, rinforzando la mia resistenza, cercando cercato di abituare gli occhi a correre nella notte, per avvicinarmi alla realtà di gara. Non potevo mollare anche per quell’unica persona su cui potevo contare nelle 24 ore di gara, sull’assistenza di mio papà Fiorenzo, che a 65 anni e dopo una settimana di coliche renali, è stato fondamentale per la mia vittoria. Ancora, non potevo mollare perché dopo le prime 12 ore di gara con oltre 35 gradi, mi trovavo ancora in vantaggio su tutti e non avevo nessuna intenzione di calare il ritmo. Poi la foratura che mi ha colpito alle 4 del mattino rischiava di farmi perdere il vantaggio accumulato. Qui mi è servita tutta l’esperienza accumulata in trent’anni di bici: non ho mai esagerato con la velocità, cercando di analizzare ogni minimo cambio d’asfalto, buca, rametto, sasso o foglia lungo tutto il circuito per evitare di forare nuovamente».
« Non ho mai mollato» conclude Federico Caretta «e questo ha contribuito a farmi compiere 674 km in 23 ore e 45 minuti alla velocità media di 29 km/h con un dislivello di 7.500 metri». —
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