Dino Baggio a Montebelluna: «Ecco la mia tattica»

L’ex nazionale fa il consulente delle giovanili: «Il calcio italiano va azzerato, seguo solo la Champions»

MONTEBELLUNA (Treviso). Un regalo che qualsiasi società di calcio sognerebbe di farsi. Un papà del calibro di Dino Baggio che porta i figli al campo e assiste con occhio clinico agli allenamenti. Perché non coinvolgerlo? Perché non rimettergli la tuta? Il Montebelluna non ha fatto in tempo a chiederlo e l'argento mondiale di Usa ’94 (nel palmares tre Coppe Uefa) ha accettato in un amen: non gli pareva vero di tornare a respirare l’erba. In via Biagi ci stanno facendo l’abitudine, ma vedere il 46enne di Tombolo ex centrocampista di Juventus e Lazio, fischietto in bocca a dare direttive, un certo effetto continua a farlo. Da qualche tempo, è collaboratore tattico per Giovanissimi Élite e Allievi Sperimentali, annate 2002-3. I precetti del “guru” Sacchi trasmessi ai pargoli.

«Mi hanno tirato dentro gli allenatori Casagrande e Da Riva, devo ringraziarli. Fino a un paio di mesi fa, mi limitavo a portare i figli. Loro me l’hanno buttata lì: “Perché non ci dai una mano, invece di prendere freddo?”. Il campo non mi mancava, ma da quando ci sono tornato, non riesco più a uscirne. Mi piace vedere che iniziano a fare quello che spieghi, soddisfazioni impagabili».

Una grande carriera a centrocampo, poi è rimasto lontano dal grande calcio: come mai?

«Ho girato il mondo da calciatore, non mi va di farlo di nuovo. E il mestiere di tecnico non m’ispira, almeno per adesso. Preferisco ritagliarmi un ruolo come questo, in mezzo ai giovani. E poi seguire le partite dalla tribuna: da lì si vede sempre meglio, capisci i movimenti e ti rendi conti se i tuoi allievi apprendono».

Che partite segue?

«Champions in tv: altro livello, altra atmosfera. Poi la domenica penso ai miei ragazzi, il tempo è poco. E il calcio italiano è caduto pesantemente. Bisogna azzerare tutto. La mancata qualificazione al Mondiale può essere l’occasione. Servono però le persone giuste, occorre ripartire dai vivai. Se continuiamo a insistere con gli stranieri, che futuro avranno i nostri talenti? Bisogna inserire l’obbligo di 6-7 titolari italiani. Altrettanti formati nel vivaio che partano dall’inizio. E poi, lasciatemelo dire, i nostri devono avere più fame, più voglia di arrivare. Manca determinazione».

E per la presidenza Figc?

«Tommasi. Ha voglia di fare, e non si fa abbindolare. Per ricostruire, serviranno 15 anni: pensate a Spagna e Germania. Dal Mondiale 2006, invece non s’è fatto più nulla. Io sono cresciuto nelle giovanili del Toro: 4-5 giocatori del vivaio passavano in prima squadra, altri in B. Bisogna seguire l’esempio dell’Atalanta, credere in un “Gasperini” che valorizzi il prodotto».

Quanto fa male un’Italia fuori dal Mondiale?

«Uno schifo. Di solito non vedi l’ora che inizi… D’altronde, i commissari tecnici, ai miei tempi, avevano problemi di abbondanza. Oggi giocano le riserve, i più bravi hanno superato i 30 anni, troppi non hanno alcuna esperienza internazionale. A parte Insigne, oggi chi abbiamo?».

Suggerimento per la panchina azzurra?

«Roberto Mancini, oggi è l’unico possibile».

I maestri?

«Sacchi e Trapattoni».

La soddisfazione più grande?

«La finale di Usa ’94, anche se persa ai rigori».

Mattia Toffoletto

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