«Gianmarco? Meriterebbe già la A È una punta completa, non com’ero io»
CAORLE. Gianfranco Zigoni, un nome e una garanzia, calcio e spettacolo, un po’di follia che non guasta e un carattere ribelle che ne hanno fatto un simbolo del nostro sport negli anni Settanta. Dalla...

CAORLE. Gianfranco Zigoni, un nome e una garanzia, calcio e spettacolo, un po’di follia che non guasta e un carattere ribelle che ne hanno fatto un simbolo del nostro sport negli anni Settanta. Dalla “Fatal Verona” del Milan quando lui era in maglia gialloblù, al figlio Gianmarco che da nove anni è manco a farlo apposta di proprietà rossonera, ma che da giovedì scorso è in prestito al Venezia. Destini che si incrociano, due caratteri completamente diversi con il pallone quale denominatore comune. Da sotto un ombrellone della spiaggia di Caorle, Zigoni padre parla di tutto e soprattutto del figlio con la maglia del Venezia.
«Gianmarco doveva scegliere una squadra di Serie B, e quella giusta era proprio il Venezia», osserva, «Una leggenda del nostro sport, dove giocò Valentino Mazzola, che reputo il più grande di tutti, e poi Venezia è sempre Venezia. Sono contentissimo, Gianmarco però meritava la Serie A, e la merita da anni».
Poca riconoscenza a Ferrara? «Non parlo mai di riconoscenza, ma lui aveva grandissimi meriti per restarci. Cosa doveva fare ’sto ragazzo per essere in A? Vedo tante ingiustizie. Altri ex calciatori mi hanno detto che sono un puro e non devo meravigliarmi. Il calcio oggi è questo».
Come descriverebbe suo figlio? «Ha un grande fisico e tanta tecnica, se lo servono in area è micidiale. Io invece sbagliavo ed ero emotivo soprattutto sui rigori. Ho il record italiano di 5 errori su 6 tentativi. Se Gianmarco trova la squadra giusta e la fiducia del mister, diventa fortissimo».
Intanto lo allenerà Filippo Inzaghi. «Lo conosco come giocatore, non come allenatore, ma a Venezia ha centrato subito la B. Sono felicissimo che lo alleni lui e spero che gli insegni qualche trucco. Pippo era micidiale in area e furbo. È stato il principale motivo della sua scelta».
Un paragone tra lei e Gianmarco? «A me non me ne fregava nulla, ero un po’… sregolato. Lui ha stimoli per essere il migliore. Io mi allenavo in discoteca, lui nei giorni scorsi era con me a Caorle e si allenava ogni giorno per essere pronto».
Il Venezia? «Ne sento parlar bene e anche del presidente Tacopina. Come risonanza nel mondo deve tornare in Serie A. E servirebbe uno stadio nuovo in terraferma, cosa aspettano? È la più bella e famosa città al mondo, ma il calcio è ancora al Penzo. Sono andato poco a Ferrara a vedere mio figlio, ma andare a Sant’ Elena è un casino».
Lei è sempre stato considerato un ribelle, e quelli di oggi?
«Ho imparato a non giudicare nessuno, specie nel calcio moderno. Io ero così come mi si vedeva. Non ho messo la pelliccia in panchina per farmi vedere, me l’hanno regalata e l’ho usata. Come il cappello da cowboy a Buffalo in tournée con la Juventus, il cinturone e la pistola. Giuro, ero proprio pazzo, ma al naturale. Adesso tanti calciatori fanno certe cose per fare scena. A me non fregava nulla di quel che scrivevano i giornali».
Il calcio di oggi come lo vede in questo momento? «Piace e non piace. Se mio figlio non giocasse a calcio forse non lo seguirei neppure. Preferisco il basket Nba, i Cavaliers di LeBron. Ma poi, volete mettere il rugby e gli All Blacks. Sto male se perdono».
I 222 milioni per Neymar dal Psg? «Non mi meraviglio e non dico nulla. Certo che, se penso alla gente che muore di fame, ce ne sarebbe da dire, ma questo è il mondo. Qualcosa non quadra. Bravo calciatore, per carità, ma non è Maradona o Sivori».
Lei punì il Milan nella “Fatal Verona”, ora suo figlio è da nove anni di proprietà dei rossoneri. «Gianmarco deve sanare il danno fatto da me al Milan (ride,
ndr
). Il problema è che a Milano non ha avuto tempo d’imporsi».
Tornerebbe indietro per cambiare qualcosa? «No, assolutamente, è andata bene così. A volte provo quasi vergogna per aver giocato solo a calcio. Qualche soldino è arrivato, ma penso a chi lavora in Medici senza Frontiere. Io ammiro quella gente».
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