«Grazie a Tom Cruise adesso vinco a Roma»

PADOVA. La prima volta che si esibì, fu con Tom Cruise. Immaginabile lo stupore del pubblico quando Greta Callegari entrò insieme a lui. Tom Cruise era il suo primo pony, con il quale iniziò la carriera agonistica di questa giovane amazzone padovana. Dopo Tom ci fu Darline, una pony grigia a Fieracavalli (siamo nel 2013) e poi l'amico di questa vittoria recente, Hastin Rock, il quale, se le parole di Greta per lui fossero zuccherini, sarebbe già obeso. Greta con Hastin Rock ha vinto la Coppa dello stile italiano al Trofeo dei Giovani che si è disputato a piazza di Siena a Roma. «Hastin Rock ce l'ho in affitto dalla scuderia di Massimo Campagnaro, una delle più importanti del Veneto. Dovevo cambiare cavallo per crescere di categoria e anche perché con la cavallina di prima non c'era molto feeling. Ci siamo pertanto rivolti a Campagnaro che prima mi ha voluto conoscere e poi mi ha indicato il mio cavallo. La prima volta che ho visto Hastin Rock mi ha fatto una grande impressione per la sua grandezza. La prima lezione è stata disastrosa, era lui che aiutava me, per cui mi sono detta: questo è proprio il mio cavallo. È un sauro di nove anni, italiano anche nel carattere: giocherellone, creativo e molto generoso, si è instaurato fin da subito un feeling bellissimo».
In cosa consiste il suo allenamento quotidiano?
«L'allenamento vero e proprio è di un'ora, a cui poi si aggiunge il tempo per la cura del cavallo, in tutto circa tre ore al giorno, prima o dopo lo studio. A scuola sì, va bene, diciamo che spero di farcela senza materie anche se... beh, ho cambiato proprio per motivi legati allo sport».
Il futuro di Greta come sarà dopo le superiori?
«Vorrei fare medicina e diventare anatomopatologa. Il nonno era chirurgo, primario a Camposampiero e io sono cresciuta con i suoi racconti, ne sono sempre stata affascinata. Solo che fare il chirurgo no: hai in mano la vita delle persone, se sbagli dipende da te e ce l'hai sulla coscienza. Invece per l'anatomopatologo è diverso, uno è già morto e non lo è per causa mia».
Medicina e tre ore di equitazione al giorno non si incastrano bene…
«Sì, so già che per l'università dovrò lasciare l'equitazione, almeno a livello agonistico, è una cosa che ho già preventivato. Il mio obiettivo è tornare a cavalcare dopo aver trovato un lavoro stabile».
C'è ancora qualche anno quindi: quali gli obiettivi?
«Il sogno nel cassetto: un Europeo e un Gran Premio, arriviamo a filo con il professionismo».
Oltre al cavallo, un ruolo chiave ce l'ha l'allenatore.
«Giorgio Pavan, è uno zio acquisito, è grazie a lui se ho ottenuto questi risultati. È molto bravo, riesce a capirmi al volo, si prende cura del cavallo se io non posso andare e in auto, prima delle gare, mi fa cantare Lucio Battisti per scaricare la tensione. Funziona».
E la famiglia?
«L'equitazione è uno sport individuale di famiglia, in cui la squadra è composta dal cavaliere, dal cavallo, dall'istruttore e dai genitori: papà mi segue sempre, studia il percorso e gli avversari, fa molto anche da mental coach».
C'è chi dice che l'equitazione non sia uno sport: lei cosa ne pensa?
«Chi non c'è dentro non può capirla, è uno sport molto particolare e complesso e dovrebbe essere più conosciuto, perché è molto più di una passeggiata».
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