Padova Calcio, Pulzetti: «In Serie B bisogna costruire con il tecnico giusto»

Oggi allenatore del Calvi Noale in Serie D, nel 2018 ha vinto la Supercoppa da capitano dei biancoscudati. «Feci un discorso al gruppo, battemmo il Lecce che dopo pochi mesi salì in A»

Stefano Volpe
Nico Pulzetti alza la Supercoppa vinta nel 2018 dal Padova
Nico Pulzetti alza la Supercoppa vinta nel 2018 dal Padova

L'ultimo (e unico) giocatore del Padova ad aver alzato la Supercoppa di Serie C è stato Nico Pulzetti, che nel 2018 festeggiò il trofeo assieme ai compagni sul prato del “Via del Mare” di Lecce. Sono passati sette anni tribolati prima che il Padova riuscisse a conquistare un'altra promozione in Serie B. Per la gioia anche del vecchio capitano. «Sì, sono contento», sorride Nico Pulzetti. «Dal 2019, quando la società decise di non riconfermarmi dopo la retrocessione, seguo sempre con affetto le vicende biancoscudate. Si sono vissute tante stagioni amare, ma questo successo è assolutamente meritato. Ha vinto la squadra migliore, che ha saputo reggere la pressione dopo un avvio stupefacente, reggere all'assalto del Vicenza e non mollare dopo il sorpasso. Una promozione che dimostra come il calcio sia cambiato».

In che senso?

«Non basta più spendere tanto e costruire squadroni per avere la certezza di vincere. Il Padova ci aveva provato nel primo triennio, ma non ci è riuscito anche per una buona dose di sfortuna. Al giorno d'oggi la via migliore per avere successo è quella di programmare, di costruire un buon collettivo e di affidarsi all'allenatore giusto. Un tecnico fa la differenza molto più di prima. Lo noto anche io stesso che sto cominciando questa carriera nei dilettanti. È stato bravo Andreoletti, che si era già fatto notare a Sesto San Giovanni. Ha dato un'impronta chiara alla squadra, ha saputo gestire le difficoltà e cambiare assetto al momento giusto».

Eppure l'ultimo Padova vincente, il suo, aveva una filosofia diversa. Una squadra costruita con l'intento di vincere subito, grazie a tanti giocatori esperti. È un percorso meno praticabile secondo lei?

«Sì, sono passati solo sette anni da quel successo ma il calcio si è evoluto. I giocatori in grado di fare la differenza da soli sono sempre meno. Il talento è fondamentale, certo. Ma i campionati si vincono con le idee e lo spirito di gruppo».

Detta così, è d'accordo anche lei sul fatto che al Padova basterebbe mantenere l'ossatura di questa squadra, con qualche ritocco mirato, per fare un buon campionato anche in Serie B?

«Questo aspetto è più complesso. Perché tra le due categorie il salto è notevole, sia dal punto di vista tecnico che ambientale. Ogni domenica si gioca su palcoscenici importanti, le trasferte sono più impegnative, il torneo è logorante. Non tutti i giocatori possono essere pronti ad affrontare questo salto. La società dovrà programmare bene ed essere chiara sull'obiettivo, che da quello che ho capito dovrebbe essere una salvezza tranquilla. In ogni caso non va smantellata l'anima del gruppo, anche se, come per tutte le neopromosse, serviranno dei rinforzi».

Prima di affrontare questo discorso c'è da vincere la Supercoppa. Voi ci riusciste con due successi su due. Il segreto?

«Non volersi accontentare. Noi vincemmo il campionato con due turni d'anticipo, qualche ragazzo giovane sembrava volesse già staccare la spina e andare in vacanza, ma da capitano feci un discorso chiaro: “Abbiamo ancora un trofeo da alzare e ci tengo da matti a vincerlo”. Erano gli ultimi anni della mia carriera e volevo chiudere in bellezza. Battemmo sia il Livorno che il Lecce, squadra che pochi mesi dopo avrebbe conquistato la promozione in Serie A. Resta un bel ricordo, ho ancora la medaglia a casa e ogni tanto la lucido».

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