Il terzinaccio Cervato ha un posto d’onore nell’Olimpo del Padova

PADOVA. Se n'è andato un altro “grande” del passato. Nella notte tra lunedì e martedì, nella sua casa di Carmignano si è spento Cristiano Cervato, 82 anni, uno dei panzer biancoscudati che tra gli anni Cinquanta e Sessanta hanno scritto le pagine più belle e gloriose dell'ultracentenaria storia del Padova. Forse meno conosciuto dei suoi più illustri compagni, da Scagnellato ad Azzini, da Blason a Pin, poiché arrivò in biancoscudato solo nel 1959 senza mettere la sua firma sulla stagione 1957-1958 del terzo posto in Serie A, ma ugualmente importante nella storia della principale squadra cittadina.
La vita. Cristiano Cervato era nato il 19 ottobre del 1935 a Carmignano di Brenta, e proprio con la maglia del paese, il Carmenta, aveva mosso i primi passi sui campi di provincia. Dopo sei stagioni al Treviso, approdò nel '59 al Padova di Nereo Rocco: dopo i primi due campionati, ancora sull'onda dello scudetto sfiorato nel 1958 e con lo stadio Appiani che era diventato uno dei “salotti buoni” del calcio italiano, con l'addio del paròn nel 1961 arrivarono la retrocessione in B, e la caduta dopo i grandi fasti del condottiero triestino. Ma Cervato rimase biancoscudato per altri 8 anni. Alla fine, furono dieci i campionati tra Serie A e cadetteria nei quali giocò, quasi sempre da terzino. Le sue 244 partite ancora oggi gli valgono il settimo posto nella classifica dei giocatori del Padova con più presenze di sempre, dietro solo a Scagnellato, Sforzin, Zanon, Longhi, Celio e Da Re.
Gli aneddoti. Cervato non era l'unico coi piedi buoni, in famiglia, anzi. Il cugino Sergio, classe 1929 e scomparso nel 2005, aveva avuto una carriera ancora più splendente: aveva vinto il primo scudetto della Fiorentina di Fulvio Bernardini, aveva militato nella Juve, nella Spal, partecipando anche al Mondiale svizzero del 1954. Eppure lui, Sergio, dal Padova fu provinato e scartato, e i dirigenti biancoscudati scelsero il cugino Cristiano. La sua esperienza, sotto gli occhi di paron Rocco, decollò subito perché si fecero male Blason e Secco, e lui fu buttato immediatamente a sostenere il glorioso "catenaccio" del tecnico triestino. Gli almanacchi, però, non gli hanno reso onore fino in fondo: passerà alla storia come il classico "terzinaccio" che in 244 partite con la maglia biancoscudata non ha segnato nemmeno una rete. E invece, proprio dal suo racconto, nel libro "Nella fosse dei leoni" di Pino Lazzaro, emerge che un gol, uno solo, era riuscito eccome a realizzarlo. E mica in una gara qualunque. «Contro il Venezia», il suo ricordo. «C'era tanto di quel fango che non so come quel giorno mi riuscì di fare gol. Non so come il portiere non abbia preso quel pallone, con tutto quel fango nemmeno la rete ha toccato tanto andava piano». Ma il calcio di allora era così, ben più lontano dai riflettori di quanto non lo sia oggi, e chi segnava importava poco una volta che la partita era vinta. Figurarsi in quel Padova di Rocco, in cui il lavoro più nobile era quello sporco, dei difensori, silenzioso ma tremendamente efficace. E così se n'è andato, Cristiano Cervato, lontano dai riflettori. Ora gli spetta comunque un posto nell'Olimpo del calcio padovano.
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