«Io, capitano, ho corso e vinto a Kabul»
Luigi Marano, ufficiale dei carabinieri, è in missione di pace in Afghanistan

LUIGI MARANO. Maratoneta, ha 41 anni
KABUL (Afghanistan).
Nome: Mongolian Expeditionary Task Force. Distanza: 10,700 chilometri. Sede: Kabul, in Afghanistan. Organizzazione: Contingente dell'Esercito della Mongolia presente in Afghanistan. Primo arrivato: Luigi Marano, 41 anni, Capitano dei carabinieri di stanza a Kabul, tesserato per la Società Sportiva Atletica Città di Padova.
Le comunicazioni con l'Afghanistan non sono semplici. Riusciamo a colloquiare con il capitano Luigi Marano attraverso email. Il suo racconto è fatto di emozioni filtrate dalla guerra e da una corsa internazionale disputata in condizioni estreme e da atleti particolari, gli stessi che ogni giorno muoiono per un ideale di pace. In questo scenario lui ha vinto, un venerdì, il 28 gennaio 2011. «Tra le tante email che ricevo quotidianamente nel mio ufficio di Kabul, sono attratto dal volantino pubblicitario di una corsa su strada che si sarebbe disputata proprio a Kabul. Solitamente mi piace pianificare per tempo gli impegni agonistici e mi spiazza non poco l'improvvisazione, ma sento un qualcosa di particolare. Mi dico: ho gareggiato in diverse parti del mondo, ma per conto della Mongolia davvero non mi era mai capitato. Temo gli atleti-militari mongoli, sono nati e cresciuti in un contesto ambientale del tutto simile a quello afghano: la Mongolia è uno dei Paesi più alti del mondo, con un'altitudine media di circa 1500 metri, dove si innalzano catene montuose ben al di sopra dei 4000 metri e dal clima piuttosto estremo. L'Afghanistan è un Paese dominato dalle montagne, con oltre il 50% della sua superficie al di sopra dei 2000 metri, con vette che superano i 7000 metri di quota e dal clima torrido in estate ed estremamente rigido nella stagione invernale. La stessa Kabul, dove ormai mi trovo a risiedere dallo scorso mese di agosto, è a 1800 metri di quota. Mi iscrivo, e arriva il giorno della gara. Three, two, one, il conto alla rovescia scandisce gli ultimi istanti prima della partenza (giudicato quantomeno inopportuno il classico colpo di pistola qui a Kabul): Go urlato a voce. Una decina di giovani atleti-militari dell'Esercito della Mongolia si avvia ad un ritmo sostenuto, intorno ai 3'15 al km e forma subito il gruppo di testa. Li lascio andare. Se davvero hanno quel ritmo sulle gambe non gli starei dietro neanche volendo. Se invece si sono solo lasciati trasportare dall'entusiasmo cederanno tra poco. L'esperienza mi dà ragione. Il gruppo degli atleti di testa si assottiglia e al terzo km inizio a mirarli, uno dopo l'altro, con un solo obiettivo: raggiungerli gradualmente, correre in controllo per qualche centinaia di metri e superarli. Per un attimo mi viene il timore che facciano gioco di squadra: di tanto in tanto mi si affianca qualcuno con imprevedibili variazioni di ritmo (come se all'improvviso corresse un 200 a tutta!), quasi invitandomi a seguirlo. Ma non abbocco. Bisogna aspettare, pur rimanendo vigili. Non mi lascio nemmeno intimorire da qualche scorrettezza di troppo: ma quanto sgomitano? Ai due terzi di gara realizzo di essere in testa. Mancano poco meno di quattro giri alla fine, quando decido di correre in controllo, nel timore di spegnermi prima del traguardo. La volata finale mi vede sereno. Sono primo chiudendo in 38'38" i 10 km e 700 mt complessivi. Il momento dell'Award Cerimony. Il rigido protocollo prevede si proceda subito alle premiazioni. Chiamano il terzo classificato, il secondo, entrambi americani. Quindi sento pronunciare il mio nome tra gli applausi. Il Comandante del Contingente della Mongolia, mi stringe la mano e, dopo avermi messo la medaglia al collo e avermi donato un trofeo riportante l'effigie del loro Contingente, mi consegna il diploma della gara: un certificato, in lingua originale, già munito di cornice e riportante con scrittura autografa il mio nome. Accanto a me, sul pennone, in alto, c'è la mia bandiera»
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