Io, Nedved, ora mi racconto
Incontra gli universitari e il piccolo Pavel, 5 anni e mezzo

DA PAVEL A PAVEL. Nedved con Pavel Bergamin, 5 anni e mezzo, e la mamma del piccolo, Sara. Sotto, tiene in mano il suo libro-autobiografia
PADOVA.
L'incontro fra il grande Pavel e il piccolo Pavel avviene sulla scala che porta al piano inferiore della libreria Feltrinelli, in via San Francesco. Il bagno di folla è scontato, partono cori e richieste di foto da ogni parte, ma Nedved ha occhi solo per quel frugoletto di 5 anni e mezzo, con la maglia bianconera addosso, il suo nome e il numero 21 stampati sulla schiena. Se lo coccola come un figlio, il campione ceco che due anni fa ha deciso di appendere le scarpette al chiodo chiudendo con il calcio e accettare il ruolo di testimonial della Juve, ma di lui sa già tutto. E' mamma Sara, impiegata nella vita e che a casa ha lasciato le due sorelline di Pavel jr. (Giulia, 3 anni, e Vittoria, di 1), a raccontare l'aneddoto: «Il 2 ottobre scorso si giocava Inter-Juventus al Meazza e mio marito Marco (Bergamin, ndr) era allo stadio perchè super tifoso bianconero. A fine gara, in coda per uscire dalla zona di San Siro, è stato affiancato da un'auto su cui si trovavano Agnelli e Nedved. Non gli è parso vero di averlo a portata di... mano: e così gli è andato dietro, prendendo l'autostrada per Torino, invece che per Venezia. All'autogrill di Balocco c'è stato l'incontro: gli ha fatto vedere il tatuaggio con il nome Pavel sul braccio, strappandogli la promessa che, se fosse venuto a Padova, avrebbe incontrato nostro figlio. Devo dire che è stato di parola. Lo avremmo voluto a cena, ma forse pretendevamo troppo». Il piccolo Pavel, nato nel 2005 («Doveva chiamarsi per forza così, ero rimasta incinta l'anno dopo la conquista del Pallone d'Oro da parte di Nedved» chiosa la signora Sara), ha la cresta come El Shaarawy ed è iscritto alla scuola calcio del Padova (gioca terzino): non tradisce particolare emozione, in mano ha un disegno colorato per il campione. «Papà» Nedved lo prende in braccio, gli sussurra un «sei un grande» accompagnato da un sorriso e quindi lo riconsegna alla mamma, non senza avergli elargito un'ultima carezza. E a quel punto la standing ovation lo introduce all'appuntamento conclusivo della giornata a Padova: la presentazione del libro il cui titolo dice già tutto («La mia vita normale», add Editore, 16 euro) con sottotitolo altrettanto eloquente («Di corsa tra Rivoluzione, Europa e Pallone d'Oro»), un'autobiografia che ricostruisce le gesta di questo straordinario giocatore, nato a Cheb nel 1972 e, dopo una luminosa carriera in Italia fra Lazio e Juve, entrato a far parte del Cda della Vecchia Signora. Un libro di cui in precedenza aveva parlato, per oltre un'ora, con gli studenti dei Corsi di laurea sui diritti umani dell'Università, introdotto dai professori Papisca e Mascia e dall'avvocato Jacopo Tognon, artefice della trasferta veneta dell'ex bianconero. «Io professore? - aveva esordito entrando nell'aula di Sociologia, in via Cesarotti - Non esageriamo, ma sono felice di incontrare questi giovani. Qualche buon consiglio forse lo posso dare». Li ha incantati tutti, nessuno escluso (vedi a lato). Compreso quel ragazzo con un cartello in mano su cui campeggiava la scritta: «Nessun libro potrà mai raccontare quanto tu ci abbia fatto sognare. Grazie Furia Ceca».
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