Lovato ha messo la museruola a Zapata «Che esordio: si è realizzato un sogno»

Stefano Volpe / Padova
«Matteo Lovato sta mettendo la museruola a Zapata». La voce è quella della radiocronaca Rai. Ad ascoltarla c'è Stefano, il papà del giovane difensore di Candiana che sabato scorso ha esordito in Serie A con il Verona contro l'Atalanta. Sì perchè, maledetto Covid, Stefano si è perso pure l'esordio del figlio, non ha potuto vederlo allo stadio e nemmeno in tv, visto che quando è iniziata la ripresa è partito da Pescheria, dove vive Matteo, per andarlo a prendere al Bentegodi. Ma la cosa più strana non è nemmeno questa. La cosa più strana è che una volta arrivato al parcheggio dello stadio, Stefano ha preso il cellulare e ha cercato su Google “Zapata”.
«Io non so molto di calcio», sorride Lovato senior. «Non ho mai guardato le partite, a parte quelle di mio figlio. Capisco a malapena i corner, una volta Matteo ha provato a spiegarmi il fuorigioco ma l'ho fermato. Gli ho detto “non ti preoccupare, in campo c'è un arbitro, mi fido di lui che conosce il regolamento”». Viene da pensare che sia proprio questa la forza del 20enne che appena 12 mesi fa non aveva ancora giocato tra i pro e ora si trova ad aver esordito in Serie A, facendo per giunta un figurone contro il miglior attacco d'Italia. È la forza di una famiglia che non gli ha messo pressione, l'ha sempre assecondato ma allo stesso tempo non ha mai fatto mancare il proprio apporto. Da mamma Cinzia, passando per Erica, la sorella a cui è legatissimo, per finire con papà Stefano, che si è anche tatuato una sua foto con il figlio.
«La passione del calcio gli è nata da sola. A 5 anni giocava nel Canossa, piccola società vicino casa, poche stagioni dopo lo nota il responsabile del vivaio biancoscudato Giorgio Molon che lo porta a Padova». La prima svolta arriva a 15 anni, quando passa al Genoa. «Anche lì ha scelto il ragazzo. Per noi non è stato facile vederlo andare via di casa così presto, ma non abbiamo avuto dubbi visto che ha sempre mostrato grande maturità. L'ho seguito dappertutto, ogni weekend mi sciroppavo anche 1.000 chilometri per andarlo a vedere e stare un po' con lui. Ho consumato tre macchine, ricordo ancora quando compì 16 anni e gli portai le pastine a Carrara, dove aveva la partita, per festeggiarlo. Ma è una cosa che rifarei sempre, a prescindere dalla piega che può aver preso la carriera».
Una piega, per il momento, promettente: «Ha realizzato un primo sogno, mi auguro ne arrivino altri. La sua forza è sempre stata la determinazione e la freddezza. È un ragazzo tranquillo, non è mai tornato a casa dopo mezzanotte. Gli è dispiaciuto lasciare il Padova ed è dispiaciuto anche a me, ma tornerò all'Euganeo perchè ero diventato amico dei tifosi. Allo stesso tempo sa che certi treni capitano una volta sola». E su questo treno, come sempre, è salito anche papà: «Però adesso mi sa che dovrò farmi Sky». —
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