L’uomo delle stelle ama correre nel deserto

PADOVA. Sessantadue anni, padovano, professore ordinario al Dipartimento di Fisica e Astronomia dell'Università di Padova. Sergio Ortolani, a dispetto della sua professione, è un tipo con i piedi ben piantati sulla terra. Ne volete un esempio? Nella sua carriera ha partecipato a circa 450 maratone, in gran parte di montagna, e a una decina di ultramaratone di 100 km. Quest'anno ha corso per la quattrodicesima volta la Marathon des Sables, gara in autosufficienza alimentare su un percorso totale solitamente di circa 250 km nel deserto del Sahara. È un veterano della gara, ma soprattutto vanta un record di affidabilità invidiabile: non si è mai ritirato in quattordici edizioni e non ha mai dovuto ricorrere all'assistenza medica.
«L’edizione di quest’anno», spiega, «è stata la corsa più lunga e più impegnativa delle 30 edizioni precedenti. La differenza in realtà non è stata tanto per il chilometraggio, che è arrivato a circa 257 km, ma per la natura del terreno, in gran parte sabbioso, con numerosi attraversamenti di dune. A questi si sono aggiunti anche scavalcamenti di jebel, le montagne del deserto marocchino, alte qualche centinaio di metri. A tutto questo si aggiunge una temperatura molto alta, soprattutto perché ci siamo in profondità nel deserto e la temperatura cresce rapidamente mano a mano che ci si allontana dalle ultime oasi, mentre crolla l'umidità e cresce il vento caldo. È difficile rendere l'dea della fatica che si fa a procedere sulla sabbia soffice: se si riesce a correre lo sforzo non cambia moltissimo, ma come si procede camminando ogni passo diventa uno sforzo e si avanza molto lentamente. Pochi chilometri di sabbia contano come molti km di terreno consistente, per questo la lunghezza di per sè non conta molto. È come quando si va in montagna, conta poco la lunghezza, invece conta molto il dislivello».
Detta così sembra un'impresa impossibile. Le tappe sono tutte attorno ai 40 m, con la tappa lunga, la quarta, di ben 84 km, seguita dalla quinta, maratona classica di 42 km. Il tutto su un terreno continuamente accidentato. A quelle temperature, con gli zaini da 8-10 kg, sulla carta sembra davvero tutto impossibile... Quanto conta l'età ?
«La mia ultima marathon des sablesl'avevo fatta nel 2011, cinque anni fa. Eppure ce l'ho fatta, potere della volontà, potere della psiche sul fisico. A rendere tutto più lieve in verità ci sono gli scenari grandiosi, soprattutto gli attraversamenti delle montagne con la vista dall'alto di ampi orizzonti sul deserto».
Ci racconti la sua gara.
«Parto in una squadra di quattro atleti, tutti veterani di lungo corso, ma dopo un paio di tappe ci ritroviamo decimati, due ritirati, squadra dimezzata e cancellata dalle classifiche. Molti degli italiani si ritirano o hanno seri problemi fisici. I più sono colpiti da disidratazione: impariamo subito come agisce. Le forze cominciano a mancare, si entra in stato confusionale, nausea, capogiri, febbre. Purtroppo a questo punto, anche se si arriva al campo il riposo della notte aiuta poco perché troppi liquidi sono stati persi e non si riesce a reintegrarli. Chi ne soffre difficilmente riesce a riprendersi il giorno dopo se non con l'aiuto di diversi litri di flebo. Al termine della prima tappa arrivo molto provato e affaticato più del previsto. Assisto a molti concorrenti disidratati o ustionati dal sole. Il messaggio è chiaro: attraversare il deserto è una cosa seria, mai sottovalutarlo. Il caldo e l'affaticamento rendono difficile l'alimentazione. Nonostante le difficoltà, lo spirito di gruppo, le scene di solidarietà tra corridori che spesso non si erano mai incontrati prima, il fascino del deserto e lo spirito di avventura prevalgono e tutto sommato i ritiri sono limitati a poco meno di 200 su poco più di un migliaio di partecipanti. Veniamo a sapere che qualcuno deve essere portato via immediatamente in elicottero e ricoverato al più vicino ospedale, qualcuno anche rimpatriato immediatamente perché non può essere curato in loco».
La tappa lunga da 84 km è la più temuta, la più dura...
«Ma anche la più affascinante. La affronto deciso a non farmi scoraggiare dal caldo torrido e a prevenire la disidratazione utilizzando spesso l'acqua per bagnarmi invece che bere, un trucco che funziona molto bene quando fa troppo caldo. Veniamo a sapere che qualcuno si è perso, ma lo trovano. Arriva la notte mentre affronto una discesa tecnica tra le rocce. Ma la vista di un fantastico cielo notturno, con la via lattea che sorge nel cuore della notte è uno spettacolo raro. E tutto sommato la lunghezza è mitigata dall'arrivo del fresco al tramonto e del lungo percorso notturno. Impiego 20 ore, arrivando al campo alle 4 di mattina dopo esser stato costretto a camminare per quasi 60 km sulla sabbia, ma con un gran arrivo in volata come se avessi potuto percorrere molto di più. Le tappe successive non spaventano più, sono più corte e anche più semplici».
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