«Noi, soli contro tutti Fu la nostra forza E poi con Pertini...»

L’ALA DESTRA: BEARZOT NON SBAGLIÒ UNA MOSSA  BATTUTO IL BRASILE, IL RESTO VENNE QUASI DA SÉ
Enzo Bearzot gioca a carte con il presidente della Repubblica, Sandro Pertini, ed i giocatori Dino Zoff e Franco Causio nell'aereo che trasporta gli Azzurri in Italia dopo la vittoria nella finale della Coppa del Mondo, in una immagine del 12 luglio 1982. ANSA
Enzo Bearzot gioca a carte con il presidente della Repubblica, Sandro Pertini, ed i giocatori Dino Zoff e Franco Causio nell'aereo che trasporta gli Azzurri in Italia dopo la vittoria nella finale della Coppa del Mondo, in una immagine del 12 luglio 1982. ANSA
Gli attacchi. Il gruppo. Il silenzio (stampa). La riscossa. E la partita. A carte, con la Coppa del mondo sul tavolino dell’aereo. «Quella fu un’idea di Sandro Pertini, il modo per unire tutti gli italiani, per azzerare le distanze e sentirsi tutti uguali e felici. Perché tutti al bar o con gli amici hanno giocato almeno una volta a scopa come abbiamo fatto noi: io, Dino, Bearzot e il Presidente». Dino è Zoff, il capitano, «
il capitano muto
», come racconta divertito Franco Causio, uno dei 22 del
Mundial
di 35 anni fa, uno dei protagonisti di un’avventura che sopravvive alle generazioni, viene tramandata – magari a lampi, a episodi – ai più giovani, con un’etichetta scritta a chiare lettere sul dorso del libro della memoria: la vittoria incredibile.


Causio, fu veramente un successo impensabile anche per voi che avevate la maglia azzurra addosso?


«Abbiamo fatto vedere che un gruppo coeso, unito, può superare tutte le difficoltà nello sport: può ribattere gli attacchi e le polemiche che arrivano dall’ambiente circostante, può superare sul campo campioni come Maradona e Zico. Un grande insegnamento del
Vecio
, del nostro ct che alzo un muro per preservare la squadra, difese Rossi, Cabrini, Gentile, perfino il povero Gaetano Scirea. Anche lui si prese delle critiche prima della cavalcata vincente».


Bearzot fu il vostro punto di riferimento.


«Su questo non si discute. Enzo aveva scelto i suoi uomini, dal grande Cesare Maldini all’ultimo nei magazzinieri e tutti insieme eravamo davvero l’Italia del calcio, una squadra unita, sola contro tutti e capace di reagire come piaceva a tutti noi: durante le partite».


Quello dell’82 fu anche il primo Mondiale del silenzio stampa, complici le critiche, le voci sui superpremi e un’infelice battuta su Rossi e Cabrini.


«Non ci fu alcuna riunione di gruppo. Parlammo tra di noi, in ritiro, su sollecitazione del ct che ci disse: ci stanno attaccando, vedete voi cosa fare. Decidemmo di non farci più intervistare per non creare malintesi e concentraci solo sulle partite, come rappresentante fu scelto il capitano muto (e giù una risata,
ndr
). Dino sa come fare quando bisogna tagliare corto, non è uno abituato a sprecare parole».


Era l’emblema della Nazionale di Bearzot che seppe poi vincere il Mundial.


«Sì, ma di Enzo si è parlato spesso solo delle sue doti umane e caratteriali. Era una persona unica, di una correttezza esemplare, non scendeva mai a compromessi, questo posso confermarvelo, ma devo aggiungere anche che era un grande commissario tecnico, raramente sbagliava la valutazione di una partita e se abbiamo svoltato in quel Mondiale lo dobbiamo anche alla sua capacità di analizzare le partite».


Causio, la svolta arrivò contro l’Argentina.


«Dopo un girone di qualificazione a dir poco difficile. Avevamo stentato contro tutte e tre le avversarie del nostro girone, tanto che, quando ci capitarono in dote Argentina e Brasile, in quello che era allora il secondo girone di qualificazione, quasi nessuno ci dava delle possibilità di raggiungere le semifinali».


Neppure voi all’interno eravate ottimisti?


«Devo dire la verità: il gruppo ci ha sempre creduto. E ha creduto in Bearzot. Pensandoci su a tanti anni di distanza penso che allora ebbe un’intuizione decisiva. Preparò la partita con Tardelli su Maradona, salvo poi cambiare e piazzare Gentile, difensore puro, su Diego, mentre Marco fu destinato a Kempes. Merito di un precedente? Sì, può darsi: nel ’79, Enzo aveva fatto da selezionatore del Resto del mondo contro l’Argentina. Vinse, ma Tardelli si fece cacciare per un fallaccio su Maradona».


Poi, dopo il
Pibe de oro
, ecco il
Galinho
e il suo Brasile.


«Forse la
Seleçao
con maggior talento delle storia. Non c’era da fermare solo Zico, affidato anche lui a Gentile. Avevano anche Junior, Falcao, Cerezo, Socrates. Forse ci presero un po’ sottogamba, d’accordo, ma la nostra capacità di rispondere colpo su colpo fu la vera arma vincente, la tripletta di
Pablito
fu figlia di quella mentalità: comunque per me finì 4-2, perché quel nostro gol di Antognoni, magnifico per manovra, era validissimo».


Dire che da quel momento il cammino dell’Italia verso la Coppa del mondo fu in discesa è solo un’esagerazione.


«La verità è che affrontammo le quattro più forti nazionali del momento per alzare la Coppa al Bernabeu la sera dell’11 luglio 1982. La Polonia, superata in modo netto in semifinale, quasi in scioltezza con altri due gol di Rossi, aveva in rosa Zibi Boniek, uno dei giocatori più forti al mondo allora, ma in sua assenza potevano schierare Zmuda, Lato, Smolarek. Poi in finale trovammo la Germania di Rumenigge, Muller, Kaltz, Breitner».


Ins
omma, quella volta l’Italia fece davvero poker d’assi, sbagliando anche un rigore nel primo tempo della finalissima: cosa successe nell’intervallo?


«Nulla, pochissime parole perché c’era la consapevolezza che eravamo i più forti e nella ripresa la differenza sarebbe venuta a galla».


Finì 3-1 e Causio ebbe l’opportunità di finire nelle foto celebrative accanto all’arbitro brasiliano Coelho nel momento del fischio finale.


«Ringrazierò per sempre Bearzot per quei pochi minuti giocati: volle dirmi che ero stato importante in quella vittoria tanto quanto i titolari».


Già, perché Causio era uno dei senatori del gruppo azzurro: non a caso giocò anche la partita a carte con Pertini.


«Il Presidente. Il Presidente di tutti, quello più amato perché capiva la gente e stupiva per la semplicità. Pensate che un anno dopo il
Mundial
ero ad allenarmi con l’Udinese quando arrivò una pattuglia dei carabinieri al campo. Erano venuti a prendermi. Pertini mi volle al suo fianco per tutto il giorno durante la sua visita ufficiale in Friuli: sei un amico, mi disse».


Già, a carte si gioca solo con gli amici. Anche quelli che vincono un Mondiale.


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